Oi dialogoi, filosofia alla Miglieria

A Capri lo spettacolo diretto e recitato da Alfredo Giraldi

    di Maria Regina De Luca

La divertente performance teatrale, un "Oi dialogoi" sui generis, organizzata alla Migliera dall’Associazione Kaire, che nei suoi ricchi programmi fa fede a quel Kaire che è invito e saluto ai visitatori, potrebbe definirsi senza spazio e senza tempo. Qui il tempo diventa eternità come le scritte che, durante lo spettacolo itinerante, ci guidano per i sentieri di un pensiero dal quale è nato tutto quello che conta tuttora per l’uomo e la sua stessa ragione di essere al mondo. Sono scritti lapidari in ogni senso quelli che lo scrittore economista Gunnar Adler-Karlsson ha disseminato nell’area di macchia mediterranea acquistata per venir sottratta a tentazioni edificatorie e destinata a Parco filosofico, dove ci si può perdere alla ricerca di una verità che ci rassicuri, dopo la dialettica del dialogo, per darci un poco della sicurezza perduta.

E non poteva che chiamarsi “Oi dialogoi” questo spettacolo ideato, diretto e recitato da Alfredo Giraldi, attore dal multiforme ingegno che si è formato attraverso le più diverse esperienze. Dalla Scuola delle guarattelle e dei Mimi di Mimmo Cuticchio e di Bruno Leone a quella di doppiaggio a quella di scherma teatrale, Giraldi è esperto nel teatro di figura e vincitore di Rassegne teatrali. Oggi si cimenta con una materia, la filosofia, che presenta molti aspetti in comune con la vita quotidiana e che, come riesce a dimostrare Giraldi, viene spesso vissuta ‘sul campo’ senza che se ne abbia coscienza, ma solo perché fa parte integrante dell’uomo e della sua voglia di resistere e di sopravvivere.

 Quanto ci circonda di questa collina di smagliante bellezza ha a sua volta una lunghissima storia. Ci parla di Gregorovius e dell’eremita della Migliera, il filosofo tedesco Willy Kluck che scelse di viverci condividendone la bellezza radiosa di buona parte dell’anno e quella ostile dei lunghi e severi inverni dell’isola, “solo con la sua umanità, dolce come i santi e gli dei indiani”. Nella stessa struttura, divenuta l’incantevole casa di oggi, scelse di vivere Gunnar Adler Karlsson, residente dell’isola per amore sia del luogo che di sua moglie Marianna, contagiata a sua volta da San Michele e dal genius loci di Axel Munthe. Per Giraldi, che si muove a suo agio tra Pasolini e i suoi colpi al cuore provocati da ‘ogni immagine di questa terra’, i colpi lapidari di queste scritte sono inviti a nozze. Quell’invito a ‘conoscere la propria anima per assorbirne l’essenza incorruttibile e eterna’ ci sembra un introibo invitante in questo parco dove “ tutto quanto si è visto, pensato e vissuto trova il suoi posto”, ma nel suo prezioso testo sulla Saggezza occidentale, Gunnar guida il visitatore secondo una formula nella quale hanno parte la popolazione, le risorse, l’istinto di riproduzione, la guerra. E se a prima vista si vorrebbe dar ragione a Malthus dal quale ci allontana un’istintiva diffidenza, preferiamo gettarci su Eraclito perché ognuno di noi vorrebbe esserne il fiume, partecipe dell’evoluzione che vi è prevista. Ma è ancora meglio perderci tra i vialetti, tra le iscrizioni fatte da artisti anacapresi tra i quali Franco Senesi e Sergio Rubino, ma tutto il parco è opera di artigiani e contadini anacapresi per precisa scelta del costruttore, che volle pagarli di persona. L’architetto De Martino definì un dono del cielo il parco, che consente di puntare su un aspetto della cultura così particolare come la filosofia e di potenziare la salvaguardia del verde del paesaggio. Ma Karlsson ha anche promosso le tradizioni del paese, ha familiarizzato con i suoi abitanti, ha agito in modo ben diverso dagli altri residenti per scelta personale e poi chiusi nel proprio entourage.

Tornando allo spettacolo, va detto che ha avvinto gradevolmente l’attenzione degli spettatori. Un bravo all’autore e un bravissimo agli ideatori del Parco Filosofico, gli anacapresi per elezione Gunnar e Marianna. Questo Parco con le sue lapidi di maiolica, le sue scritte, il suo boschetto mediterraneo è unico in Italia, e forse in Europa, e dovrebbe essere citato fra le mete più ambiziose dell’isola perché ne è la densa e intensa rappresentazione identitaria fatta di bellezza, cultura, paesaggio, infiniti ricordi di drammi e di preghiere, dove nella vegetazione inconfondibile del paesaggio anacaprese si rinnova ogni giorno il rito di una cucina antica, depositaria delle tradizioni dell’isola. Il Ristorante porta il nome di un fiore, che si trasmette nelle generazioni e ravviva memorie illustri e un lontano e prezioso passato quando l’isola, nell’abbraccio del suo mare di pescatori e di Sirene, era la meta di tutto il pensiero alto del mondo, l’approdo per dimenticare il dolore, la meta dalla quale abbandonarsi all’amore, e ricominciare a vivere.





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