Perche' rivedere il film Hammamet

Gli ultimi mesi di vita di Craxi, interpretato da Favino, nell'opera difficile di Gianni Amelio

    di Mario Vittorio D'Aquino

Il potere, il consenso, la verità nascosta, lo scandalo, i processi, poi la fuga. Il sipario che si chiude di una vita dedicata alla politica, lo spettacolo della Prima Repubblica che finisce nel grottesco, tra colpi di martelletto e scintillio delle manette. Lontano dal caos di avvoltoi in toga, l’ultimo politico e – probabilmente – l’ultimo statista che l’Italia abbia avuto, sceglie l’esilio per passare gli ultimi mesi della sua esistenza, travagliata anche da guai fisici come il diabete. Ha scelto di scappare in Tunisia prima che lo “scandalo de li’ scandali” di Mani Pulite arrivasse fino a lui. E per certi versi lo fa. La colpa? Quella di aver scoperchiato un vaso di Pandora che non andava nemmeno menzionato. Quel discorso in Parlamento che mise con le spalle al muro un sistema marcio e corrotto, fu dialetticamente l’all-in della sua carriera politica. Un sistema di cui anch’egli ha beneficiato, un modus operandi che lo rendeva vittima e carnefice in un vortice di meschina complicità. Un predicatore in cerca di assoluzione. Un mendicante del consenso, un mercante del compromesso, un bandito dell’accordo, un oste della Milano da bere, un visionario della modernità, un nostalgico dei “magnifici anni ’80, un divulgatore de “l’Italia quarta potenza mondiale”, fino a incarnare poi il peccatore del debito pubblico, della svalutazione della moneta. Poi, di colpo, Hammamet, la necropoli del latitante incompreso. Bettino Craxi, era questo e tanto altro. Gli ultimi sei mesi della sua vita sono stati incorniciati nel film Hammamet uscito nelle sale nel 2020, il cui regista è Gianni Amelio. Della pellicola, illustre è il mimetismo impressionante di Pierfrancesco Favino, in costante controllo in una prova ad altissimo rischio.

Perché questo Craxi, in tutta l’ambiguità dell'operazione, è una figura che per forza di cose eccede la norma ed emerge oltre la fissità dello sguardo di chi lo osserva. È l'immagine eloquente non solo della fine di un uomo, ma della fine della politica italiana, impersonando l’ultimo professore della scuola politica italiana. A vent’anni dalla morte, Amelio non lo assolve e non lo condanna: semplicemente, lo lascia in mezzo alla scena come luogo naturale per un uomo del suo calibro. Il risarcimento di Hammamet, dunque, non è per la vita di Craxi, ma per la sua morte, trasformata da evento privato e distante (e pure vigliacco, per la fuga dalle condanne in contumacia) a fatto condiviso.

Basato su testimonianze reali, il film non vuole essere una cronaca fedele né un pamphlet militante, non vi è alcuna cecità ideologica. L’immaginazione può tradire i fatti “realmente accaduti” ma non la verità. La narrazione ha l’andamento di un thriller, si sviluppa su tre caratteri principali: il re caduto, la figlia (Stefania, neo nominata presidente della Commissione Affari Esteri in Senato) che lotta per lui, e un terzo personaggio, un ragazzo misterioso, che si introduce nel loro mondo e cerca di scardinarlo dall’interno.

Hammamet è la degna biografia di un interprete di una certa politica che non c’è più, di un modo di fare politica che oggi non è più lo stesso. Nel bene e nel male.





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