Disciplina ko, la scuola in fuorigioco

Studenti impazziti e professori alla gogna su Youtube: di chi è la colpa?

    di Antonio Biancospino

Una studentessa di New York, appena 13 anni, è arrestata a scuola e portata via in manette per aver scritto sul banco. Sei insegnanti di Zurigo, nel giro di due anni, gettano la spugna, esausti e depressi di fronte alla classe indisciplinata. Uno studente minorenne di Pordenone è denunciato dalle autorità greche per vilipendio e offesa alle istituzioni. A Washington una campagna di protesta sfocia nella liberazione di una ragazzina nera di 15 anni, condannata a 7 anni per aver spinto una bidella. Azioni e reazioni esagerate di un 2007, anno di professori alla gogna su Youtube, sito che si riempie di giovanissimi filmati in cui la caccia al prof sbanca, i lampadari piombano inevitabilmente sulla testa dei professori, gli studenti intervistano giovani supplenti sulle loro abitudini sessuali o si calano i calzoni mentre l’insegnante spiega.

Diceva Freud che ogni nuova generazione somiglia a un’orda di barbari e c’è chi rimpiange quando, una volta, veniva fermata a forza di schiaffoni e bacchettate. Ma quella di oggi è un’orda mai vista, forse figlia del Sessantotto e di metodi educativi antiautoritari e libertari. Lo sostiene Bernhard Bueb, direttore del prestigioso ed esclusivo collegio tedesco di Salem, nel suo Elogio della disciplina (Rizzoli, 2007, 10 euro).

La Bild Zeitung lo definisce “il più severo dei maestri tedeschi” perché - come ha intitolato la Frankfurter Allgemeine Zeitung - va in giro a dire che “i giovani hanno diritto alla disciplina”! e che la libertà non è solo indipendenza, né arbitrio, ma si conquista con la disciplina. Bueb, insomma, vuole che la scuola insegni l’ordine ed il rispetto di gerarchie e rituali (le cd.dinamiche dei gruppi) ed i genitori non rinuncino a educare perché ciò richiede fatica e coraggio. Insomma, la disciplina è una terapia, né devono mancare le punizioni, poiché “pochi di noi ubbidiscono se non hanno timore delle conseguenze”.

Un filosofo reazionario o soltanto un tedesco nostalgico? Liquidarlo così è una tentazione, tuttavia non è solo in questa crociata pedagogica, preceduto com’è da eccellenti “no che aiutano a crescere”, come scriveva, nel 1999, la psicoterapeuta infantile inglese Asha Philips. L’autorità è fondamentale per la crescita dei figli, soprattutto in quelle “situazioni in cui noi, padri e madri, siamo piu frastornati, in cui sentiamo di dover dire di no e insieme temiamo di farlo, convinti che un diniego possa avere conseguenze drammatiche. Eppure le frustrazioni fanno parte della vita”.

Il saggio della Philips uscì in Italia con la prefazione di Giovanni Bollea, padre della neuropsichiatria infantile italiana, che lo definì “uno dei più bei libri che abbia letto sull’argomento”. L’autore di Le madri non sbagliano mai già un decennio fa ricordava che un’autorità amorevole non vuol dire ritorno alla tirannia dispotica del padre padrone; rappresenta, piuttosto, il superamento del paternalismo iperprotettivo che proietta sui figli ansie e insicurezze. Insomma, game over ai mamma-papà, perché “l’ansia paterna è causa di insicurezze difficilmente rimovibili” e, come dice Bueb, è “più facile, per un adolescente, opporsi a un padre autoritario che trovare la giusta distanza da un papà permissivo”. D’accordo, ma questo elogio della disciplina è davvero una prosecuzione ideale? La libertà si conquista con la disciplina o con l’autodisciplina?

La pedagogia di Immanuel Kant offre piccoli spiragli a questa domanda, poiché il problema dell’educazione è proprio quello “di conciliare la sottomissione a un obbligo legittimo e la capacità di fare uso della propria libertà. Non posso fare a meno di abituare il mio allievo a sopportare la costrizione della sua libertà, ma nel contempo debbo insegnargli a fare buon uso della sua libertà. Chi ha trascurato la propria educazione non sa fare uso della propria libertà”.

Pertanto, non può esserci autodisciplina senza regole e dev’essere possibile che genitori e maestri conducano i ragazzi alla disciplina senza, per questo, obbligarli a valori, regole e principi. Forse, chissà, ma chi lo insegnerà agli educatori? A giudicare da come siamo combinati, proprio nessuno. Che fare, allora, se professori come Robin Williams sono soltanto un attimo fuggente? Credeteci: non c’è rimedio, uno scappellotto al momento giusto non può far male.





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