Magnasciutti, l'antivirus dell'ironia

L’illustratore e musicista romano fa impazzire i social con le sue vignette

    di Vanna Morra

Non sono un’amante delle vignette eppure, da qualche mese, sono pazza di quelle di Fabio Magnasciutti, illustratore e musicista nato a Roma nel 1966. Le ho scoperte per caso su facebook, le ho notate sul profilo di un mio amico e da allora ne posto almeno una al giorno. Le adoro, mi emozionano, mi divertono, mi fanno riflettere, mi arricchiscono. Amore, vita, ma anche morte, ricorrenze, paradossi, episodi di attualità e tanto altro che l’artista romano “racconta” quotidianamente sui social, con un disegno, poche parole e una sana ironia che hanno una potenza comunicativa disarmante.

Magnasciutti la sua arte la insegna pure, è docente all’Istituto Europeo di Design nella Capitale e nella scuola di illustrazione OfficinaB5 che ha fondato insieme a due amici e colleghi, e con i quali ha curato la videografica di “Che tempo che fa”, di Fabio Fazio e altri programmi Rai. Ha all’attivo la pubblicazione di numerosi libri, imminente l’uscita del prossimo, vanta collaborazioni con le maggiori testate nazionali. La sua più grande passione però è la musica, nel 1993 ha formato la band folk/rock “Her Pillow” di cui lui è voce e da allora è perennemente in tour. Vignetta dopo vignetta è balenato in me il desiderio di vedere una sua mostra ma al momento della mia “perlustrazione” sul web, di eventi dedicati, in giro, non ce n’erano o magari mi saranno sfuggiti. Dunque chi meglio avrebbe potuto darmi informazioni al riguardo se non lui? Gli ho inviato una mail in cui gli ho scritto più o meno così: “Ciao Fabio, è prevista una tua mostra vicino Napoli? Se no te la organizzo io”. Ci siamo sentiti qualche giorno dopo lo scambio di mail, che era anche qualche giorno prima della quarantena obbligatoria. Non gli ho nascosto la mia emozione, abbiamo parlato un bel po’ buttando giù, per sommi capi, eventuali idee e progetti ignorando che da lì a pochissimo tutto sarebbe stato sospeso per il Covid-19. Dopo i primi giorni di sconcerto, più che mai vogliamo andare avanti, le belle chiacchierate possono solo portare sorrisi e generare spunti di riflessioni. Così ho ricontattato Magnasciutti.

Ciao Fabio, mi hai accennato della pubblicazione prossima del tuo nuovo libro…

Si tratta del secondo volume di vignette, dopo “Nomi, cosi, animali” e si intitolerà “Dire, dare, baciare”, inoltre sto preparando il primo di quella che spero diventerà una collana di monografie riguardanti artisti scomparsi ai quali sono legato, testo scritto da me e illustrazioni realizzate in incisione, inizierò con Ian Curtis, il frontman dei Joy Division, la band che più amo.

Ti riferisci al progetto “Laical”, ossia calendario laico, 366 artisti da illustrare. Quanti te ne mancano?

Ne mancano meno di un centinaio ma me ne occupo nei ritagli di tempo, ho iniziato molti anni fa, non ho fretta.

Tra satira e poesia e, spesso, citazioni come nasce una vignetta? Mi riferisco anche alla scelta dei soggetti che la rappresentano, fiori, oggetti, animali…

Le vignette nascono da dettagli, qualcosa che osservo, una frase o una canzone che ascolto, non c’è un criterio. L’unico è la velocità: devo liberarmene in fretta prima che me ne disamori, questione di minuti. L’utilizzo dei soggetti, raramente umani, proviene dall’imprinting che ho ricevuto dalle prime letture: Rodari, Jacovitti e il successivo amore per il linguaggio dei surrealisti.

Come ha preso forma, invece, il tuo stile inconfondibile? Una vignetta di Magnasciutti la si riconoscerebbe anche senza firma.

La tecnica analogica che preferisco è l’acrilico, materico. Per la velocità a cui accennavo sopra ho scelto di realizzarle in digitale ma cercando di mantenere quel sapore.

Ho letto che le vignette le chiami “cose”, perchè?

Le chiamo (a volte) “cose” perché quando mi vengono fatte domande in proposito, noto spesso un imbarazzo sul come chiamarle, come se il termine “vignetta” fosse riduttivo. In realtà questo sono: vignette, è il loro nome.

Infatti, sembra riduttivo. Nei lavori su commissione quanto c’è di te? O te ne distacchi totalmente per rappresentare qualcosa che, in fondo, non ti riguarda?

Lavorare su commissione è certamente differente ma non posso distaccarmi totalmente da me stesso, la voglia di astrazione e sguardo laterale rimane.

Nelle mie chiacchierate con gli artisti ho riscontrato pareri discordanti per quanto riguarda la satira, qual è la tua visione?

È un discorso complesso. Brevemente, credo che sia una forma mentale, un approccio, un abito, riguarda principalmente l’osservazione della realtà e il meccanismo di restituzione. Non amo particolarmente la satira politica, certamente non quella fatta di caricature di personaggi. Preferisco parlare della vita quotidiana, di argomenti che toccano la quotidianità di chiunque: amore, paura, caducità, attenzione e i loro contrari.

Ti seguo sui social e mi unisco ai tantissimi che ti definiscono “genio”. Te la riconosci questa genialità nella comunicazione? 

No, non me la riconosco. C’è un uso smodato di aggettivi e sostantivi, soprattutto sui social. Lo accetto e ne sono lusingato ma mi chiedo a quale vocabolario dovremmo attingere se ci riferissimo a Picasso.

E qual è, allora, la consapevolezza che hai di stesso?

Non ne ho una specifica, comunque è cangiante. Sono cosciente di aver acquisito molti strumenti in oltre 30 anni di professione. Ciò che so è che è urgente per me esprimermi.

Inevitabile chiederti come stai affrontando questa quarantena visto che mi hai detto che sei rimasto bloccato lontano da casa…

La sto affrontando come posso, come tutti. Certamente mi mancano i concerti, il prima il dopo. Mi manca il mio microfono, le mie armoniche, la musica che sgorga.

Come passi il tempo in cui non lavori?

Lavoro ininterrottamente, anche quando dormo. So che è difficile da credere ma il lavoro più grande è quando non disegno, quando osservo ed elaboro, ovvero sempre.

Quale abitudine ti manca di più?

Non ne ho. Se le percepisco come abitudini devo liberarmene, dunque non possono mancarmi.

  

 





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