C'era una volta il Gramsci nero

Si chiamava Mario. I suoi scritti furono bruciati. La sua colpa? Era un vinto

    di Mario Vittorio D'Aquino

La fine della seconda guerra mondiale oltre ad aver mietuto milioni di vittime tra civili, forze militari e politici, scatenò un fenomeno irreversibile: la totale sovversione dei regimi totalitari autocratici italo-tedeschi nati ad inizio anni '20 e '30 che uscirono sconfitti dalla guerra (nonostante l'armistizio italiano del '43 e la nascita del fenomeno più o meno rilevante della partigianeria, l'Italia si mostrò agli occhi di tutte le potenze doppiamente sconfitta sia sul campo di battaglia sia per lo scarso valore militare).

La suddetta sovversione non riguardò solo il voler cambiare radicalmente le radici sociopolitiche in Italia, diventata Repubblica attraverso il referendum (anch'esso ancora discusso), ma anche di cancellare qualsiasi riferimento culturale, storico, architettonico, educativo a eventi o persone che fino a poco tempo prima caratterizzavano una delle prime potenze europee. La fagocitante damnatio memoriae attuata nei primi anni successivi della fine della guerra fu feroce a tal punto da far scivolare nell'oblio centinaia di personaggi storici, politici, letterari, poeti, artisti dell'epoca ruggente: da Ezra Pound a Julius Evola, da Filippo Tommaso Marinetti a Mario Gramsci.

Sentire o leggere il cognome di un Gramsci come valido esponente del fenomeno fascista potrebbe far storcere il naso a parecchie persone avendo solo studiato o ascoltato il fratello Antonio di idee politiche opposte. La figura del “Gramsci nero” fu quella di un militare del Regio Esercito Italiano che sin da subito aderì al Fascismo, difendendo le sue idee anche sotto le percosse provocate dai comunisti (i quali tutto erano tranne che agnelli innocenti censurati da un cattivo Regime) che idolatravano invece il fratello.

La divisione tra i due Gramsci inevitabilmente causata dalle nette divergenze di vedute, leggermente paragonabile al frazionamento artistico tra Eduardo e Peppino De Filippo, non fu così fredda come quella che coinvolse i due attori napoletani almeno dal punto di vista del fratello nero. Negli anni in cui Antonio si ammalò gravemente in carcere, Mario si riunì con altri socialisti iscritti al PNF, per chiedere di far ricevere al “Gramsci rosso” le migliori cure e una punizione meno severa. Richiesta accolta da Benito Mussolini in persona.

L' indole militare di Mario Gramsci lo spinse a vestire la divisa dell'Esercito e si unì con convinzione alla guerra in Libia durante la Seconda guerra mondiale. Dopo il '43 egli decise di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. La scelta presa coscienziosamente e senza ripensamenti lo portarono ad essere un prigioniero di guerra dagli inglesi e come tale spedito in campi di concentramento in Australia. In quel periodo si ammalò gravemente. Rientrato in Italia a guerra appena conclusa (parliamo del settembre '45) morì due mesi più tardi circondato solo dalla sua famiglia.

La sopracitata damnatio memoriae che ha colpito il “Gramsci nero” è stata, soprattutto, quella di relegarlo con “violenza culturale” ai margini della storia. Dopo la sua morte vennero bruciati tutti i suoi scritti e studi rendendo questa figura un perfetto sconosciuto. Come Mario Gramsci, anche altri hanno ricevuto lo stesso immeritato e spietato trattamento.





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