Fallarino, naturalismo quattrocentesco

Le passioni, i modelli, la tecnica: intervista all'artista beneventano

    di Vincenzo Maio

Si è conclusa lo scorso 24 gennaio, nelle sale espositive della Rocca dei Rettori di Benevento, la personale di Antonio Mastronunzio Fallarino (Benevento, 1955, nella foto) “L’artista e il suo tempo. Dal realismo empirico all’ astrattismo concreto”. È stato Giovanni Tartaglia Polcini, consulente giuridico del Ministro degli Affari Esteri, ad aprire idealmente le porte della mostra, patrocinata dalla Provincia. Questi ha scritto: “Antonio Mastronunzio riesce a trasfondere sulle tele e sulle tavole le radici della profonda inquietudine dell’uomo moderno, circondato da un ambiente orientato alla mancanza di regole certe, di alti valori e di simboli ispiratori; egli si rifugia sovente in un mondo diverso, distinto dal reale divenire, più cosmico che terreno, più onirico che materiale. Quando dipinge, spesso, si commuove e, quasi, va in estasi, tante sono le sensazioni che lo assalgono e guidano la sua mano”.

Antonio Mastronunzio Fallarino è Maestro di arte pittorica e di scultura, uomo di grande e profonda cultura umanistica, raro conoscitore della storia dell’arte.

Quali sono le conseguenze dell’alluvione che ha colpito Benevento sulle sue opere, e quali possibilità ci sono per recuperarle? 

«Le possibilità sono poche, perché molte opere sono state distrutte. L’ alluvione è stata una catastrofe naturale, e nessuna istituzione di Benevento mi è venuta incontro».

Come è nata la sua passione per l’arte?

«La mia passione per l’arte nacque da giovanissimo, a 13 anni, quando mi iscrissi al liceo artistico. Poi andai a Firenze a studiare, dove mi legai spiritualmente alla pittura locale. Di conseguenza ho questo riprendere storicamente il ‘400 italiano, cosa inusuale nell’arte contemporanea, anche perché oggi non si dipinge più o quasi con tavolozza, colori e pennelli, bensì facendo dei giochini contestualizzandoli con determinate cose. Voglio sottolineare che i mecenati portano al successo solo chi vogliono loro. Gli artisti autentici, quelli che fanno l’arte italiana, restano nella miseria».

Quali sono i modelli a cui si ispira?

«Tra i modelli antichi cominciamo da Botticelli, Masaccio e Piero della Francesca, che è stato l’unico artista matematico in tutto il Rinascimento italiano. Quindi intorno a tutto il ‘400 italiano gira l’asse rotante di tutta l’ arte universale conosciuta. Tra i moderni ho tre modelli: in primis Giorgio Morandi, che per me è stato il più grande pittore italiano del ‘900, in secondo Cézanne, da cui parte anche Morandi e tanti altri artisti, compreso Picasso nella sua traiettoria cubista, e poi Van Gogh che, venendo dalla tradizione olandese, va a Parigi che lo fa pittore e lo istituzionalizza come artista».

In che modo è progredita nel tempo la sua tecnica?

«La tecnica non esiste. Esiste solamente l’approccio sulla tela. Chi fa del tecnicismo non fa arte. La tecnica è un’illusione gestuale, è un atto consacratorio, assoluto, puro. Sei tu e la tela, tu e una superficie, dove si evidenzia tutto ciò che è il pensiero di un artista. Ciò che è evidente nel tempo è l’origine: da dove viene un artista? Io con i miei fiori, con il mio naturalismo, sostengo di provenire dal ‘400 italiano».

Secondo lei le capacità artistiche sono naturali o acquisite?

«Naturali. Si può anche acquisire, si cresce, ma se non si ha un codice genetico non si fa arte. L’arte è un’altra cosa. Come diceva Picasso “viene dal punto più lontano dell’ universo”. Io faccio arte contemporanea dipingendo dal vero. Un fiore che esplode è come l’ esplosione di una supernova o di un astro nell’ universo. Per me l’ arte viene dal concetto di Andromeda. È come se nella mia mente avessi un radar, viene l’intuizione dall’universo, la capto, e la metto sulla tela. Questo è il concetto di Andromeda».

Vi sono artisti locali che hanno fatto fortuna all’ estero. Allora è proprio vero il detto “nemo propheta in patria”?

«Decisamente sì».

Qual è il segreto della sua creatività?

«Osservare la natura. Diceva Leonardo che “la natura è un libro aperto. Osservala e imparerai tutto”».

Programmi per il futuro?

«Andarmene da Benevento».





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