Perche' vedere Bojack Horseman

Su Netflix la serie capolavoro che racconta la depressione attraverso animali antropomorfi

    di Mario Vittorio D'Aquino

«Sai qual è il problema di tutti quanti? Che vogliono sentire solo quello di cui sono già convinti. A nessuno interessa mai sentire la verità». Con questa sentenza non scontata e che sbatte a muso duro sulle difficoltà del singolo ad accettare determinati messaggi dalla collettività, si accende la serie d’animazione Netflix Bojack Horseman (2014 – 2020). Gli episodi della sitcom raccontano la vita del protagonista BoJack Horseman, un attore in decadenza di Hollywood diventato famoso negli anni ’90 grazie alla fiction - inventata dagli autori - Horsin’ Around. Il mondo dello show è popolato da umani e animali antropomorfi (il personaggio principale è un cavallo infatti) che convivono in una cittadina chiamata Hollywoo. La convivialità è una caratteristica che viene sfruttata per molte gag mai banali.

Il protagonista, all’inizio della storia, cerca di risollevare la sua fama con la pubblicazione di una sua biografia mediante l’aiuto della sua fidanzata “gatta” Princess Carolyn nonché sua agente. L’intera successione degli eventi vede coinvolto BoJack, perennemente seguito e accompagnato (e talvolta anche perseguitato) da altri personaggi più o meno principali: Diane Nguyen, scrittrice e sua amica oppure lo stravagante Todd Chavez, un parassita con difficoltà a relazionarsi che si ritrova a vivere nella lussuosa casa di BoJack. Questi personaggi, in realtà, non sono stati costruiti a caso. Essi non sono altro che una fotografia delle diverse sfaccettature della cupa e subdola sindrome depressiva, quel mostro che invade la tua anima senza chiedere il permesso.

La serie raccoglie emozioni, dialoghi (anche molto espliciti) e generi molto contrastanti fra loro: la sitcom e il dramma, la gloria e la depressione, la personalità riflessiva ma anche narcisista del protagonista Bojack Horseman al cospetto del suo “antagonista” Mister Peanutbutter, sua nemesi, un cagnolone stucchevolmente sempre felice, il quale con il suo comportamento non fa altro che esprimere un’altra sfaccettatura della depressione, apparentemente celata nel voler mostrarsi a tutti i costi un “simpaticone”. Il capolavoro targato Netflix è una rappresentazione disincantata anche dello show-business hollywoodiano, un gigantesco affresco che rivela un mondo vuoto e crudele quando “esci dal giro” e che va molto più in profondità rispetto a quell’aura di immacolatezza che circonda le più grandi star del cinema. 

BoJack Horseman si presenta inizialmente come una comune sitcom “all’americana” con gag insensate e surreali ma non è – come detto – affatto così. Strappa molte risate sincere, ma gli scambi di battute o gli aforismi più celebri sono quelli che ti lasciano un vuoto dentro dal quale si assapora un retrogusto di continuo fallimento. Si attende che quel frammento tanto drammatico quanto quotidianamente concreto finisca subito, con ansia si freme che i personaggi pronuncino la prossima battuta. Speri che il conflitto interiore si risolva senza che si provochi un disastro, ma si può solo accompagnare il dolore latente che permane indelebile nelle varie scene. Nel frattempo lo spettatore è indirizzato a farsi domande, a riflettere assieme ai personaggi su osservazioni relative al senso ancestrale della vita, della morte, al significato assoluto dell’esistenza, verosimilmente con toni e in un’ambientazione irreale e talvolta volgare, tipica di questo prodotto eccellente. BoJack Horseman è una serie che va a toccare nel più profondo intimo e non va più via.





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