'amorevol-Mente', storie tossiche

Terza puntata della rubrica sugli amori 'da incubo'. Cos'e' il 'gaslighting'

    di Vanna Morra

E’ lunedì 29 novembre 2021. Il lunedì che si lascia alle spalle la settimana che grida STOP alla violenza sulle donne, perché nel mezzo ha il 25, giornata mondiale dedicata. La settimana in cui tv, social, piazze, tutto e tutti si mobilitano per noi. Vabbè, non proprio tutti tutti, c’è chi, per esempio, va avanti imperterrito nel suo essere schifoso e molesta la giornalista in diretta tv, mentre il conduttore dallo studio minimizza “di non prendersela, dai…” ma per questo ci vorrebbe una rubrica a parte. Dicevo, è passata la settimana di sensibilizzazione, in cui pure lo sport scende in campo con un segno rosso sul viso per rendere simbolicamente visibile anche quella violenza che non si vede, subdola e silenziosa.

Sì, va bene, grazie della settimana appena trascorsa, in cui la raccomandazione apparentemente più convinta e potente è “denunciare denunciare denunciare, non siete sole”. (Giustamente, l’appello pubblicitario poi cosa potrebbe mai dire?) Sì sì, davvero, tutto molto bello ma passa il santo passa la festa, si spengono i riflettori sulla settimana di sensibilizzazione e appuntamento al prossimo novembre.

E adesso? E il resto dell’anno?

Mi prendo la responsabilità di dissentire, in parte, con la settimana dal trend #unrossoallaviolenza che inevitabilmente finisce con l’avere lo stesso folklore di una sagra della solidarietà e dichiarare che, invece, siamo sole e che denunciare serve a poco o a nulla. Da oggi, allora, cancelliamo pure i segni rossi e tracciamo sotto i nostri occhi strisce nere, come quelle dei possenti e corazzati giocatori di football americano, come quelle dei soldati nel pieno delle battaglie perché fino al prossimo anno abbiamo seriamente e tenacemente da combattere e l’imperativo è “prevenire prevenire prevenire”, perché durante i prossimi 358 giorni si tornerà a parlare di violenza sulle donne solo ad ogni femminicidio.

Dalla puntata precedente:

“Va bene lavorare su noi stesse al fine di comprendere i motivi per cui ci siamo fatte irretire ma resta fondamentale scrollarci di dosso, quanto prima, i sensi di colpa e acquisire la consapevolezza che questi soggetti hanno delle skills manipolative così machiavelliche che Sherlock Holmes e Mr Moriarty messi insieme gli spicciano casa”.

Questi soggetti non si svegliano una mattina e decidono di punto in bianco di mettere fine alla nostra esistenza. No, loro covano e covano nel tempo fino ad arrivare al gesto estremo quando sentono che stanno perdendo potere e controllo su di noi. Chi è, ogni maledetta volta, l’assassino? Elementare, Watson! E’ l’ex, è il partner o l’amante che non vuole essere lasciato e che, intanto, ha collezionato fascicoli di denunce che hanno lo stesso valore della carta igienica.

La violenza invisibile e subdola a cui si fa riferimento è la manipolazione mentale che il narcisista patologico attua con conseguenze psicofisiche devastanti sulle “prescelte”. In cima alla lista delle strategie c’è il “gaslighting” che è la tecnica più pericolosa e maligna, un vero e proprio lavaggio del cervello, che ha lo scopo di annientarci, di prendere il pieno controllo di noi e della nostra vita e renderci totalmente dipendenti da loro.

La dottoressa Ivana Napolitano, la psicologa che mi accompagna nel progetto “amorevol-Mente” ci spiega cos’è il “gaslighting” e come agisce il “gaslighter”.

«Svegliarsi da un abuso manipolativo è difficilissimo perché il cervello ridotto a brandelli non vuole staccarsi “dall’ipnosi” per riconoscere di essere stato truffato. La paura è lo strumento di controllo d’elezione, è il terreno fertile su cui viene condotta ogni manipolazione. Il “GASLIGHTING” rappresenta una forma molto subdola di violenza psicologica, insidiosa e sottile che conduce chi la subisce a mettere in discussione la propria capacità di giudizio e autonomia valutativa fino a giustificare i continui messaggi di svalutazione e cattiveria del carnefice. La vittima dinanzi a continue distorsioni della comunicazione fatte di ingiunzioni come “Ma come non ti ricordi, l’hai detto tu”, “Non me l’hai mai detto, l’avrai immaginato”, “Non vali niente” finisce col convincersi che ciò che dice l’abusante sia la verità, si rassegna, diventa insicura, estremamente vulnerabile e dipendente. In questa fase la violenza si cronicizza. Uscire da una simile gabbia non è semplice, poiché gli attacchi sono continui ma ambivalenti. La gravità di questa situazione è tale da condurre la vittima verso una condizione patologica. Se una donna si trova in una situazione simile va aiutata come chi viene picchiata, i lividi dell’anima non si vedono ma possono uccidere». 

Attenzione, non sto dicendo che ogni relazione tossica abbia come finale il femminicidio ma che tale legame corre costantemente sul filo rischioso di quel potenziale epilogo. Il termine Gaslighting deriva dal film Gaslight del 1944 che ha premiato con l’oscar Ingrid Bergman, come migliore attrice. Nella pellicola, tratta da un’opera teatrale, la divina Bergman interpreta il ruolo di Paula, moglie di Gregory, che rischia di impazzire a causa delle manipolazioni quotidiane di suo marito.

Che si trattasse di gaslighting e da dove prendesse il nome l’ho saputo quando ho cominciato a documentarmi su ciò che stavo vivendo, quando rinsavendo ho cominciato anche ad acquistare barlumi di lucidità. Prima di allora descrivevo la mia esperienza associandola alla più famosa pellicola di Kubrik, tratto dal romanzo di Stephen King, Shining. Non riuscivo a trovare un modo né diverso né migliore che descrivesse quella “cosa”, per eventi e scenari mi sembrava di essere Wendy e come lei dovevo trasformare quel po’ di lucidità in astuzia e soprattutto giocare d’anticipo.

Se avvertiamo quei benedetti segnali non ignoriamoli. Siamo affamati di sapere e non smettiamo mai di documentarci su soggetti e relazioni con dinamiche dalle spie patologiche, la conoscenza ci rende razionali, la razionalità ci salverà.





Back to Top