Un anziano che non si sente vecchio

Le riflessioni di "non più giovane" che medita sul passare degli anni

    di Amedeo Forastiere

«Armando, ti stai facendo vecchio». Fu la prima volta che mia madre diede del vecchio a mio padre; aveva dimenticato di comprare il pane! Da poco ero entrato nell’adolescenza, vedevo mio padre sempre come l’eroe, aveva fatto la guerra in Africa, mi raccontava tante storielle delle tribù somale. Prima di partire per la conquista del “posto al sole”, era pugile, campione campano categoria “Welter”. Saltava la corda con una velocità da far invidia a tutta le amiche delle mie sorelle, lo guardavo con orgoglio e ammirazione. La naturale metamorfosi della vecchiaia era un mutamento che non volevo riconoscere, come se non appartenesse a me e alla mia famiglia. Un’amica e compagna di classe, Rosaria, mi prestò un libro dicendomi: «Lo devi leggere tutto». Poiché la professoressa d’italiano mi rimproverava spesso perché leggevo poco, pochissimo. Rosaria, ebbe la brillante idea di scegliere un libro di Oscar Wilde…confesso che non conoscevo l’esistenza dello scrittore irlandese. Ancor più particolare fu la scelta del romanzo: Il ritratto di Dorian Gray. Rosaria me lo impose, tutte le mattine a scuola mi domandava: «A che pagina sei? Non fare il furbo con me, che poi ti faccio delle domande, devi leggerlo tutto!» In un primo momento fui tentato ad abbandonare tutto, per quella forma d’imposizione che non accettavo, “devi”…sono stato sempre un po’ ribelle. Confesso quello strano e surreale racconto, in una Londra del XIX secolo pervasa da una mentalità tipicamente borghese, prese tutta la mia attenzione. Un ritratto a olio su tela che invecchiava, mentre il soggetto rimaneva eternamente giovane. Grande fantasia, raccontata così bene che dopo un po’ di pagine lette, ebbi la sensazione di conoscere il personaggio del romanzo. Alla fine del racconto mi sentivo totalmente coinvolto in quella maledetta storia che quasi condividevo l’angoscia e il pathos dell’eterno giovane Dorian. La vecchiaia non apparteneva proprio a mio padre. Contagiato sicuramente dalla lettura del romanzo di Oscar Wilde, cominciai a sospettare come se anche mio padre avesse nascosto da qualche parte, un suo ritratto che invecchiava mentre lui rimaneva eternamente giovane. Quando se ne andò per l’ultimo viaggio, i capelli erano ancora tutti neri, non aveva mai usato il trucchetto che tanti praticavano, lo shampoo al nero di seppia… il sospetto di un suo ritratto nascosto da qualche parte rimase! Erano altri tempi, la vita media era più breve rispetto a oggi, un uomo di cinquant’anni era considerato vecchio, vestiva da vecchio, se indossava qualcosa non in linea alla sua età, era sberleffato.

Tutto questo aumentava la distanza, mentalità, stile di vita, creando due mondi, quello dei vecchi e dei giovani, senza mai però perdere il rispetto del “vecchio”. Oggi per fortuna la distanza non è così enorme, ma l’aggettivo vecchio è ancora usato, spesso in modo dispregiativo, senza rispetto. Non c’è più distinzione nel vestire, come il giovane indossa il jeans, spesso anche il nonno, il vecchio, ma non per imitare, si dice per comodità senza che nessuno sberleffi. Certo a volte sono un po’ ridicoli, qualcuno esagera, in particolar modo le donne, quando una madre oltre cinquattraquatrenne vuole vestire a tutti i costi come la figlia che ha diciotto, be’ in quei casi la risatina scappa. Nonostante queste conquiste che abbiamo fatto noi anziani, spesso ci sentiamo messi da parte, per molti non facciamo numero, abbiamo già dato, dobbiamo cedere il passo ai giovani che spesso lo fanno in malo modo: «È finita la tua epoca, ritirati nonno!»

Il sogno di essere l’Highlander della situazione svanisce, il nero di seppia cede il passo a latte di mandorla, anche se dentro il vecchio c’è ancora tanta vita e l’anima lo grida. Mi vengono in mente dei versi di una canzone, in soccorso per chiudere: «Vecchio diranno che sei vecchio, con tutta quella forza che c’è in te. Vecchio, quando non è finita, hai ancora tanta vita. Sei vecchio, ti chiameranno vecchio, con quello che hai da dire, ma vali quattro lire, dovresti già morire…»





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