Quando lo sfotto' non era bullismo

Ricordi dai banchi di scuola della Cavour

    di Amedeo Forastiere

Massimiliano, un mio amico, mi chiede di accompagnarlo al Gambrinus per la presentazione di un libro. Lo scrittore non lo conosco. Andare al caffè più antico della città mi conquista. Dal 1860, anno in cui fu fondato, sono passati artisti, intellettuali, politici, scrittori e pittori come Scoppetta, Matania, Pratella, Casciaro, Migliaro, Irolli, Caprile, e ognuno di loro ha donato al locale dei meravigliosi dipinti. L’amore che ho per la pittura mi fa rispondere subito: «Sì sì, ti accompagno».

Lo stile Liberty è rimasto immutato, fedele nei secoli. Dopo aver preso il caffè con il mio amico, entriamo nella sala principale dove si svolge la presentazione de libro (un trattato sulla psicologia…capisc’ ‘a me!). La sala del Gambrinus è piena. Età media? Lasciamo perdere va’…l’INPS al completo. Dico solo che mi sento uno sbarbatello!

Solo due sedie libere, naturalmente alla fine della sala, quindi abbastanza lontano dalla postazione dei relatori e dello scrittore. Il tavolo è ancora vuoto, quattro microfoni e targhette con i nomi dei relatori. Inforco gli occhiali per leggere bene da lontano, tre nomi per me totalmente sconosciuti (se non fosse per l’antica amicizia che mi lega a Massimiliano, già sarei andato via). Il quarto nome sulle targhette, R. Tvergo, m’incuriosisce portandomi lontano ai tempi della scuola media, la Cavour in via Foria. Un palazzone enorme, costruito negli anni cinquanta, che avrebbe dovuto essere la nuova sede dell’ospedale Incurabili, ma la destinazione poi fu una scuola media. La metà dell’edifico, data la sua grandezza, fu destinata all’istituto Salvator Rosa, e l’altra metà al Casanova.

Interrogo la memoria che rapidamente fruga nel passato, quello da studente. Tra i ricordi messi in soffitta della mente, riaffiora un personaggio che i ragazzi della Cavour predavano in giro per il suo nome e cognome strano: Raimondo Tvergo. I nomi più comuni alla Cavour, istituto che comprendeva tutto il quartiere della Sanità, dove il livello di cultura era molto basso, erano: Salvatore, Gennaro, Pasquale, Tonino. I cognomi: Esposito, Russo, Quagliarella, Scognamiglio. Per cui un ragazzo con il nome Raimondo e come se non bastasse di cognome Tvergo, si notava, era come una farfalla bianca su un campo di papaveri rossi, com’era possibile non prenderlo in giro?  

Eravamo gli antesignani del bulli!

Comunque, tornando a noi e alla presentazione del libro al Gambrinus, speravo tanto che quel nome sulla targhetta R. Tvergo fosse proprio quello di Raimondo, il compagno della Cavour. Ebbi un senso di colpa per i tanti sfottò che gli facevo, mentre lui scappava rosso come un peperone. Per lo sfottò prendemmo le prime tre lettere del nome e le due del cognome e formammo uno pseudonimo, così Raimondo Tvergo diventò per tutti i ragazzi della Cavour “Rai Tv”.

Raimondo era un ragazzo perbene, quello che veniva chiamato il figlio di signore. Il padre dirigente del Comune: pare addirittura fosse laureto. Il soggetto dello sfottò “Rai Tv”, portava sempre i capelli corti con la sfumatura alta, riga sulla destra e tanta brillantina. Giacchettina leggermente corta, cravattino, e come se non bastasse i pantaloni alla zuava. Coma si faceva a non prendere in giro un soggetto così tra i ragazzi della Sanità?

Oltre al look particolarissimo, “Rai Tv” era anche uno sgobbone, il secchione della classe, quello che siede sempre nella prima fila centrale. Ricordo che a volte eravamo veramente spiatati, contro il povero “Rai Tv”, per sottrarsi alle pernacchie scappava con la testa bassa, a gambe levate. A volte certi ricordi riaffiorano come se il tempo non fosse mai passato, addirittura sentiamo gli odori, mi viene in mente quello delle pannocchie bollite che portava un vecchio mezzo sciancato tutti i pomeriggi fuori la scuola…sono passati oltre cinquant’anni!

Massimiliano non conosce la storia di “Rai Tv”, lui frequentava un’altra scuola. Mentre cerco di concentrarmi nel far affiorare altri ricordi dell’adolescenza alla Cavour, arrivano i moderatori e lo scrittore. Ognuno alla propria targhetta, lo riconosco e lui, Raimondo Tvergo, caspita non è invecchiato per niente, come per Dorian Gray e il suo ritratto di Oscar Wilde.

Apre lui la presentazione, confesso che non ascolto quello che dice sul trattato di psicologia, ma guardo con molta attenzione come si muove, perché ho qualche dubbio se sia davvero lui o no.

Gli stessi capelli, lo stesso colore castano, probabilmente la stessa brillantina e la posatezza nel parlare. Metto a fuoco bene la targhetta, prima del nome e cognome c’è: Prof. R. Tvergo. “Rai” Tv è diventato professore di psicologia, titolare di cattedra alla Federico II… Hai capito il soggetto dello sfottò?

Lo ascolto bene, non ho più dubbi è lui “Rai Tv”. Mi assale un leggero senso di colpa, sento il bisogno di fargli le scuse per tutto quello che io e altri maleducati della Sanità gli facevamo. Certo sono passati tanti anni, oltre mezzo secolo, mi domando: a che servono le scuse dopo tanto tempo? Ma il rimorso mi rode forte, al punto di dire a Massimiliano, che si è stancato di tanta psicologia teorica e vuole andare via: «No, Massimiliano aspetta, m’interessa quello che sta dicendo questo relatore». Lui mi scruta con sguardo indagatore, per capire il perché di quel mio improvviso interessamento all’argomento.

Decido di aspettare che tutti finiscano gli interventi e la conclusione dello scrittore, voglio salutare Raimondo Tvergo, il vecchio “Rai Tv”… Dopo i soliti saluti dei presenti, le dediche sui libri, qualche selfie con lo smartphone (i “giovani” dell’Inps sono tecnologici). Mi fermo all’uscita della sala convegni e aspetto “Rai Tv”. Massimiliano vuole andare via, gli dico di aspettare che devo salutare un amico.

Il Prof. Raimondo Tvergo raccoglie le sue cose, giornali, pc portatile, il saggio di psicologia, saluta per andare via, lo blocco prendendolo con forza per un braccio, lui mi guarda con sospetto e stupore. Occhi spalancati che quasi gli escono dagli occhiali, solo vetro senza montatura. 

Vado subito al sodo, anche perché Massimiliano vuole andare via. Lo guardo e gli chiedo: «Ma tu sei Raimondo Tvergo detto “Rai tv” alla Cavour di via Foria?»

Mi guarda e dice: «E tu sei quello che mi prendeva in giro, con tutti quei fetenti della Sanità?»

Cupo di vergogna gli rispondo: «Sì!»

Poi mi domanda: «Come hai fatto a riconoscermi dopo tanti anni?»

«Forse sarà stato il rimorso che mi ha accompagnato per tutti questi anni, domandandomi chissà che fine avrà fatto “Rai Tv”, dopo tutto quello che ti facevamo, con il nostro bullismo».

Raimondo mi poggia una mano sulla spalla e dice: «Ho studiato tanto per diventare qualcuno, per dimostrare a tutti che non ero lo stupido secchione, che “Rai Tv” fosse il migliore di tutti, e lo sono diventato! Non ti devi scusare, perché il vostro non era bullismo ma solo uno stupido innocente sfottò, che se non lo aveste fatto, forse oggi non sarei diventato quello che sono. Il bullismo, quello che si fa oggi, amico mio, non è lo sfottò dei tempi della Cavour, è tutt’altra cosa, è atto delinquenziale…»

Alla prossima ragazzi.





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