Si stava meglio quando si stava peggio

Lo sfogo inaspettato di un novantenne nostalgico di un passato eroico

    di Amedeo Forastiere

Forse sarà coincidenza, o forse sarà la vita che non conosce più il confine tra il parlare e il pensare, ma capitano tutte a me. Dopo la storiella dell’anziano che all’agenzia delle entrate contestava la mora da pagare perché pensava che fosse una donna, (ricordate?) mi è capitata un’altra storia particolare che sempre con un anziano ha a che fare. ’O fatto è chisto, statemi a sentire.

Martedì scorso, tarda mattinata, sono al mio solito caffè a piazza dei Martiri godendomi un ottimo shakerato mentre sfoglio il mio quotidiano, Il Mattino, cercando qualche notizia interessante che non sia politica. Sono distratto da un signore anziano, che parla ad alta voce.

Mi giro di scatto, la voce è forte, potente, tono imperativo da vecchio militare. In un primo momento penso parli al telefono come fanno tutti, noncuranti dei presenti. Lo guardo con il proposito di invitarlo ad abbassare un po’ la voce, perché mi distrae dalla lettura e poi non ho nessuna voglia di sentire i fatti suoi. Allora mi accorgo subito che non parla al telefono, ma con il giornale che ha sul tavolino.

Sì sì, proprio così, l’anziano parla con il giornale, o meglio litiga con le notizie in prima pagina. Mi fermo subito, aspetto prima di aprire bocca, voglio capire bene chi è, o meglio chi è stato prima della pensione. Look elegante, perfetto anche nelle tonalità ma un po’ retrò, capelli di un nero scolorito da tintura a basso prezzo. In giacca e cravatta che ormai sono rare, perché anche i cosiddetti anziani vanno in jeans e giacconi.

È un po’ distante da me, non riesco a vedere che giornale ha davanti, è piegato. Legge le notizie, s’innervosisce, guadandosi intorno cercando qualcuno con cui condividere le sue proteste. Ce l’ha con la politica, più precisamente con l'attuale, secondo lui, è tutto da rifare, come diceva Gino Bartali. Intuisco che ha bisogno di una spalla, come un gioco in una farsa teatrale.

Aspetta il LA, glielo lancio con uno sguardo di condivisione, mi guarda e dice: «Ecco, signore vedo che lei condivide la mia protesta, mi sfogo, come quel comico di Made in Sud quando dice: m’aggia sfuga’ ‘ncoppa a’ stu fatto’».

Faccio un cenno di conferma.

«Deve sapere, mi scusi, non mi sono ancora presentato».

Scatta sull'attenti unendo le gambe battendo il piede sinistro a terra. «Sono il Capitano di Vascello Francesco Guerra. Ho partecipato a tante missioni di guerra, sono pluridecorato. Che cosa crede lei che io sia un vecchio pazzo?» Assume lo sguardo da folle, capisco che non vale la pena contraddirlo, con un cenno del capo e un sorriso approvo, e lui continua.

«Questa politica di oggi non va per niente bene, non disputo distinzione di partito, questo sì quello no. Mancano gli uomini, quelli veri che sanno prendere le decisioni senza farsela sotto. Lei ricorda la famosa notte di Sigonella? Era l’11 ottobre del 1985. Quando un politico italiano con gli attributi ebbe il coraggio di schierare i carri armati contro l’esercito americano, per difendere la nostra Sovranità Nazionale dalla prepotenza dell’alleato. Altri tempi lei dirà, certo, quelli erano dei politici con le palle, sono finiti; mi perdoni la volgarità, ma quando ci vuole…

I politici di oggi sono diventati delle vere star televisive, fanno audience, lo share aumenta quando sono indiretta, tutto a vantaggio del budget del programma, perché non possono prendere compenso (ci mancherebbe). Litigano in modo acceso, come se stessero recitando un copione, si accavallano creando solo confusione per chi li segue da casa. Dicono tutto e il contrario di tutto, la disputa per la poltrona, è sempre accesa. Ci stanno svendendo, ormai il nostro bel paese è diventato un super supermercato, ogni tanto arriva uno straniero è compra qualche mostro marchio prestigioso e se lo porta via, tutto nel silenzio dell’indifferenza politica. Non è rimasto più niente ormai, solo le bellezze che ci ha regalato la natura, e quelle storiche che hanno costruito i nostri antenati, se potessero essere vendute, questi politici lo avrebbero già fatto».

Lo guardo basito, ma non mi sento di dargli torto, non solo per rispetto all’età, che a occhio e croce avrà avuto una novantina d’anni, ma perché condivido quasi tutto quello che dice. Si alza e viene verso da me, anche perché sono l’unico a seguirlo nell’arringa.

«La sovranità nazionale, egregio signore, la sovranità e l’amor di patria, non ci sono più. Tutto quello che si deve fare, bisogna chiedere il permesso all’Europa. Lei dirà, ma noi facciamo parte della Comunità Europea, allora? Le sembra normale che per approvare la manovra finanziaria dobbiamo superare gli esami dei professoroni come se fossimo a scuola? Che poi tutte quelle approvate hanno portato anziché la stabilità del bilancio, l’aumento del debito pubblico?

Il nostro paese produce una vasta gamma di auto, dalle piccole utilitarie, alle grandi ammiraglie richieste in tutto il mondo. Questi politici cosa fanno? Comprano auto straniere per i loro spostamenti e come se non bastasse, anche le forze dell’ordine vanno in giro con auto non italiane, perché lo obbliga l’Europa?

In altri paesi difendono il prodotto nazionale, da noi no, perché? Perché l’Italia è un paese da distruggere, un posto bello e inutile, destinato a morire. Un paese che non difende quello che produce è un paese che non ha futuro. Quando vado al supermercato a fare la spesa, i prodotti in vendita vengono quasi tutti dall’estero, non solo dall’Europa, l’aglio, ad esempio, arriva dalla Cina, anche i pomodorini sa? Le arance, quelle belle tarocco siciliane, dove sono? Trovo solo quelle che arrivano dalla Spagna o dalla Turchia, mentre le nostre restano sugli alberi a marcire perché costa troppo raccoglierle, le sembra normale tutto questo?

Io ho un’età, tra due mesi sono novantaquattro sa? Lei potrebbe dire ma che te ne frega, invece no, io penso ai giovani, non hanno futuro, ma non fanno niente. Gli manca il coraggio di reagire, o sono strafottenti, l’unica cosa importante è avere l’ultimo modello di telefonino, il resto non conta. Una mia antenata, Michelina De Cesare, rischiando la propria vita, ebbe il coraggio di difendere la sovranità della sua terra, il Regno delle due Sicilie, dall’invasione dei piemontesi. Fu prima violentata e poi fucilata, il corpo esposto nudo nella piazza di Mignano monte Lungo, assieme a suo marito che aveva il mio stesso nome e cognome, Michelina aveva solo ventisette anni, morì da eroe per difendere il suo paese, era il 1868.

Oggi nessuno sacrificherebbe la sua vita per salvare il paese, la patria. Questi politici fanno solo confusione, come si fa in guerra, per creare il fuggi fuggi. Sa come diceva mia nonna? Si chiamava Liberatrice, era la nipote di Michelina. ’Ammuina e buona pa’ guerra».

Prende il giornale, mi saluta da militare, va via dritto come un eroe d’altri tempi.

Alla prossima ragazzi.





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