Eziolino Capuano, l'altro idolo

Gesta, uscite ed episodi surreali di un allenatore italiano d'altri tempi

    di Mario Vittorio D'Aquino

«Quando il cielo si svuota di Dio, la terra si popola di idoli», diceva il teologo svizzero Karl Barth nel secolo scorso. Una massima che in un periodo di forte scetticismo globale nell’ambito religioso ma non solo trova una sua profonda ragion d’esistere. Un momento, quello attuale, in cui l’idolo assume un ruolo centrale e prezioso nelle vite di tutti. Oggigiorno infatti una persona ne adora almeno due o tre alla volta e non è detto che questi restino sempre gli stessi, immutati nel tempo, con una netta declassazione della figura che, come raccontava Nietzsche, vive un suo inesorabile declino. Difatti c’è una vera e propria inflazione di idoli oltre che di materie prime. Nel mondo del calcio salire in paradiso o scendere all’inferno è un attimo, è necessario il tempo di una partita. E proprio in questo tramonto degli eroi che nell’anima del tifoso incombe l’irrequietudine di aggrapparsi ad un mito che diventa santo, santino e santone. Un campione capace di distinguersi dagli altri con le sue abilità straordinarie, oltre il consueto.

Se a Roma è venerato Francesco Totti successore legittimo, secondo i lupacchiotti, della dinastia reale al seguito di Tarquinio Il Superbo, a Napoli gli abitanti hanno persino instaurato un tempietto al Dio del calcio, Diego Armando Maradona, nei Quartieri Spagnoli e ne hanno fatto una fede. A Taranto invece si assiste al ritorno dell’idolo dello “Iacovone”, e si presume lo sarà per diverso tempo, Ezio Capuano. L’allenatore dei pugliesi che sta guidando una squadra ad un’insperata qualificazione ai play-off di Lega Pro (Serie C) girone C, nella seconda avventura “tarantiniana”, poco fiction ma tantissimo pulp.

Proprio quel Capuano, di sangue salernitano, con cinquantotto primavere alle spalle, conosciuto ai più per quell’uscita infelice sul primo acquisto del nuovo Napoli internazionale targato Benitez nella finestra di mercato estiva che porterà alle falde del Vesuvio i vari Albiol, Reina, Higuain e compagnia. Chiamato a intervenire su Dries Mertens in un programma sportivo locale, l’allenatore dirà lapidario: «Non giocherà più di otto partite col Napoli». Bene, il folletto belga, dieci anni dopo, saluterà Napoli per andare in Turchia come primo marcatore della storia della società partenopea con notevole distacco dagli inseguitori (Insigne, Hamsik e Maradona) con 148 sigilli, alcuni dei quali di formidabile fattura. Da quel momento “il Belzebù di Eboli” fu deriso da tutti. Preso in giro da chi, con la faccia sempre pulita, sa prevedere i risultati già avvenuti, indovina il passato con fare da veggente, non si espone se non quando le carte sono già scoperte, così non sbaglia mai, l’infallibile del conosciuto.

Ma “Eziolino” Capuano, diminutivo dato per la sua piccola statura, non è per niente uno sprovveduto come si è voluto far passare, anzi. Due campionati di Serie D vinti poi tanta Serie C in piazze come Altamura, Cavese, Trapani, Puteolana, Taranto 1.0, Nocerina, Sora, Juve Stabia, Casertana, Paganese, Potenza, Avellino, Foggia, Messina ma anche Sambenedettese e Modena. Poi il Nuovo Testamento al Taranto apertosi nel 2022.

Sopra le righe, tarantolato, esuberante, autorevole e sempre imprevedibile come le sue squadre. Questa è la formazione dell’anti-idolo Capuano. Ma anche gli insulti ai suoi giocatori, l’invito ad essere dei “maiali assatanati” (in senso calcistico), le folli corse sotto la curva alla Mazzone, le parole forbite diventate cult in un frasario raffinato e non richiesto («l’alibi è il sentimento più notevole dei perdenti»). Insomma un allenatore con il quale non ci si annoia mai.

Schema fisso a Taranto: il 3-5-2, il suo mantra. Fatica, sudore, nervi, calci e grinta è il vangelo secondo Eziolino, tratto dalla Bibbia capuanese. Famosa è la sua “fase difendente”, una situazione di non possesso per schermare le retrovie e tamponare il palleggio degli avversari com’è altrettanto nota la “zona d’ombra”, da lui chiamata, ovvero quando vi è troppa densità di giocatori a centrocampo e non è impossibile rendere fluida la manovra. Una “B-zona” alla Canà che si manifesta in un pragmatismo elementare tutto all’italiana ma incredibilmente efficace. E così il suo Taranto con soli 26 gol segnati in 37 partite rischia, in un vortice imprevedibile e sognatore, di giocarsi la promozione in B, nel calcio che conta.

Un palcoscenico che non ama particolarmente ma non può disdegnare. Un po’ come il Gatsby del romanzo di John Fitzgerald: ne disprezza i salotti, sa che quegli scenari non gli appartengono fino in fondo ma non ne può fare a meno. Anche se il mister, invece dei protagonisti di grandi classici, preferisce figure caste e meno iconoclaste, come Rita da Cascia, la santa dei casi impossibili.

Passionale e travolgente è la sua storia d’amore vissuta ad Arezzo con cui strinse un legame con la tifoseria genuino e senza interessi che rispecchiavano i valori dell’allenatore campano. Di ampio dominio pubblico fu il suo sfogo iracondo nei confronti dei suoi giocatori che avevano perso un’amichevole contro una squadra di promozione, il Lucignano. Le durissime parole dei calciatori («vi squarto!»), rei di non saper saltare l’uomo contro una squadra di caratura inferiore, furono immortalate dal giocatore Sperotto che pochi giorni dopo e senza tentennamenti fu allontanato dal club. Un segnale di continuità che testimoniava l’attaccamento del mondo aretino al suo capobranco. Capuano più undici.

«Se è lo Special One, io sono il Mini One» scherzò, ma mica tanto, scomodando uno degli allenatori più vincenti di sempre, Josè Mourinho. Ma Capuano è così. È una specie in via d’estinzione che va salvaguardata. È un atto dovuto ad un personaggio eclettico e bucolico, è un dovere di tutti gli appassionati proteggerlo. Soprattutto per le sue esultanze smodate, per l'abbigliamento più da comunione che da allenatore, per i perenni occhiali da sole blu elettrico tarocchi, sfoggiati ancora una volta nell’occasione del post gara contro il Pescara di Zeman vinto 3-0 per nascondere l’emozione di una partita storica per il Taranto che lo lancia in ottica promozione. Molti gli attimi da kafkiana “sindrome di Napoleone”: «Friggo i pesci con l’acqua minerale», per dire che stava facendo miracoli sportivi con la rosa scarsa che aveva a disposizione. E momenti di maggior low profile: «Io sono una persona che ha costruito quel poco del mio successo sull’umiltà, sul perbenismo e sul lavoro». Non ha tutti i torti nonostante il suo lato grottesco e caricaturale che si porta dietro e che non gli ha permesso di lasciarsi mai bene nelle sue avventure sulle panchine, gran parte di queste nel profondo Sud.

Capuano va difeso perché è l’arte del farsi da solo, di chi qualcosa l’ha letta e tenta di riproporre il suo sapere in modo maccheronico e colorito ma sempre tagliente e mai banale. Un disilluso che sa benissimo che la riconoscenza non esiste: «Può esistere nel calcio dove c’è il più alto concentrato di subdoli?». Viva quindi gli adulatori del contrasto, i metodici al sacrificio, i dribblatori nel fango. Viva i realisti, i disillusi, i faticatori. Viva chi si fa da solo, chi ripudia il mondano, chi non scende a compromessi. Viva Eziolino Capuano, l’altro idolo.





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