Fabrizio Coniglio, il teatro civile

Dal set de L'Allieva ai palcoscenici d'Italia per la regia di Un Borghese piccolo piccolo

    di Vanna Morra

Prosegue il mio viaggio tra i protagonisti de L’allieva, serie tv tratta dai romanzi di Alessia Gazzola. La storia, ormai, la conosciamo bene. Alice, futuro medico legale, innamorata di C.C., è contesa, quasi come fosse una gara, da altri personaggi. Tra loro ce n’è uno che invece non sgomita, che si distingue per gentilezza e simpatia, non certo come “quei” tre lì pieni di sé: l’agente Visone, braccio destro del vice questore Calligaris. Ad interpretare Fabrizio Visone è Fabrizio Coniglio, attore, autore e regista torinese, romano d’adozione. Lui è una persona semplice e riguardo a questo ruolo parla di un piccolo contributo ma, evidentemente, non è stato poi così piccolo visto che l’agente ha conquistato il cuore di tante fan con i suoi modi d’altri tempi, con la schiettezza e l’inconsapevole ironia.

Fabrizio Coniglio, però, non è solo Visone, anzi, dietro di lui c’è un mondo fatto di anni e anni di teatro, di formazione, di scrittura e soprattutto di passione per il suo lavoro. Al telefono è un fiume in piena, mi piace chiacchierare con lui, non gliel’ho detto però faccio parte anch’io di quelle a cui ha colpito il cuore.

Fabrizio, innanzitutto ti chiedo com’è andata con Il Viaggio di Nicola Calipari, spettacolo teatrale scritto e diretto da te e che interpreti insieme a Alessia Giuliani. Di recente sei stato al Teatro Argentina di Roma.

È andata molto bene. Pensa che era martedì pomeriggio e c’erano 460 persone. Eravamo già stati al teatro Argentina nel 2014, sempre con grandi numeri. Abbiamo portato questo spettacolo in tutti i più grandi teatri di Roma e anche nelle scuole, pur non essendo uno spettacolo per le scuole. Incredibile vedere come faccia ancora presa sul pubblico, anche giovane, considerato che è uno spettacolo che ho scritto undici anni fa. Racconta la storia di Nicola Calipari, l’agente sei servizi segreti ucciso dal fuoco “amico” per liberare Giuliana Sgrena. Calipari è l’emblema di cosa significhi essere attaccati alle istituzioni, lui salva con il proprio corpo una persona che conosce da appena venti minuti. È una cosa che mi dà gioia e capisci perché certe storie restano.

Tu porti spesso in scena vicende di stato, di mafia, politica, vicende che in qualche modo invocano giustizia. Come mai senti questo bisogno?

Perché io concepisco il teatro non come semplice intrattenimento ma come forma molto alta di comunicazione e di scrittura di temi. In Italia si rappresenta soprattutto, giustamente, i grandissimi autori classici del passato di cui però si è un po’ abusato. Ogni anno abbiamo cinque Amleto, sei Molière, Goldoni, Pirandello…sono meravigliosi ma è un teatro di regia e in sostanza vai a vedere solo come è stato messo in scena, non hai la curiosità della storia. Invece io ho quest’ambizione di rappresentare anche “l’oggi” e di portare il pubblico in teatro perché scelga una storia.

E tu come le scegli le storie da raccontare?

Sono solitamente storie che mi colpiscono privatamente, che mi emozionano e, così, penso che possano avere un impatto emotivo anche sugli altri. Penso che sia un’emozione da cittadino o da uomo che fa parte di un sistema della società, e che quindi possano avere una portata evocativa nel presente.

Attore, regista, autore, ma come è nato artisticamente Fabrizio Coniglio?

Nasco come attore, anche se in questo momento mi sento meno attore nonostante, appunto, mi stai facendo questa intervista per L’allieva che abbiamo visto di recente in tv. Ho fatto un’accademia allo Stabile di Genova, non a pagamento e su selezione. Credo moltissimo nella formazione, lo dico sempre anche ai ragazzi: bisogna studiare, farsi guidare e capire se uno ha talento o no. Non bisogna far passare assolutamente il concetto del “tuttologo” che per me è la morte di un paese civile. Dopo l’accademia, conoscendo gli strumenti e le dinamiche del teatro è stato più facile avvicinarmi alla scrittura e alla regia.

Mi ha colpita un tuo post mentre viaggiavi in treno, era nostalgico, riflessivo e accennavi a treni che non hai preso…

Sì, mi riferivo, forse, più a delle questioni personali e sentimentali. Diciamo che non ho rimpianti, però, eh!? Non è che le cose accadono, ci sono delle scelte che si fanno. Questo lavoro ti impegna in maniera viscerale e metti per forza in secondo piano altri aspetti, soprattutto quando si è un po’ più giovani. È un lavoro bellissimo ma è anche un lavoro che ti sradica, in cui sei in luoghi e in orari completamente diversi dal resto della società. Poi, certo, capita che a volte ci rifletti un po’.

Invece un treno professionale che hai preso è quello, appunto, de L’Allieva e del tuo Agente Visone. Prima di parlarne, chiedo anche a te di un’eventuale terza serie. Alessia Gazzola non si è sbilanciata, Francesco Procopio che interpreta il Prof. Anceschi dice di non saperne nulla…

È vero, non si sa nulla. L’Allieva però è stata una delle fiction d’autunno più seguite e solitamente quando ci sono questi ascolti poi si pensa ad una serie successiva. Forse nessuno si aspettava tanto successo e tanto clamore, non è stata promossa nemmeno in maniera forte come altre fiction. La prima stagione era andata molto bene, ma la seconda ha avuto un exploit ancora più grande con dei picchi d’ascolto altissimi. Il pubblico si è affezionato e vuole la terza serie, sarebbe un peccato non farla.

Hai detto che Luca Ribuoli, il regista della prima serie, ti ha dato l’opportunità di regalare un po’ di Fabrizio Coniglio a Fabrizio Visone, raccontami questa cosa.

Visone era un personaggio molto di servizio nella prima serie, faceva fotocopie, portava il caffè ma di fatto non aveva un’identità. Luca, invece, ha creato questo innamoramento platonico, questa simpatia sempre molto delicata verso Alice che lo rende un po’ imbranato. Abbiamo giocato su questo e da qui abbiamo improvvisato durante le prove, io dicevo al regista “mah sai qui, Visone, direbbe questo o farebbe così” e viceversa. Questo percorso, devo dire, è piacevolmente continuato anche nella seconda serie con Fabrizio Costa con cui mi sono trovato bene. 

Tu hai mai avuto un amore platonico come Visone?

No. Tendenzialmente sono una persona che si tuffa e che poi li mette in pratica gli amori. Non sarei mai capace di rimanere in sospeso così a lungo, se fossi Visone un mazzo di fiori glielo farei arrivare alla dottoressa.

Com’è stato il rapporto tra voi del cast?

Davvero bello. Al di là del set abbiamo fatto anche cene insieme e serate divertenti. L’Allieva è un progetto a cui sono molto legato perché in televisione è raro che si crei questa sinergia. Sono tutti dei grandi professionisti e in particolare i protagonisti, Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale, sono persone molto semplici con cui è bello avere a che fare. Sono legato a tutta la squadra, anche la produzione intendo, si respira una bella aria quando si gira.

Ritorniamo al teatro, perché sei in tour, in veste di regista, con Un Borghese piccolo piccolo. Il protagonista è Massimo Dapporto, le musiche sono di Nicola Piovani e questa è già la seconda stagione.

Sì, e ci sarà anche una terza stagione perché lo spettacolo sta andando molto bene. Saremo in tante parti d’Italia, a gennaio due settimane al Franco Parenti di Milano, una settimana allo Stabile di Genova, saremo a Ivrea, Vercelli, Pisa, a Carrara, in Trentino…

A Napoli no?

Per quest’anno no, spero il prossimo. Mi farebbe piacere.

Il libro di Vincenzo Cerami da cui è tratto lo spettacolo è stato scritto nel 1976, ma il tema de Il borghese piccolo piccolo è quanto mai attuale.

Eh sì ed è il motivo per cui mi sono lanciato in questo azzardo. Ci ho messo tre anni, tra l’altro, per tirarlo su e trovare un produttore. Ho avuto la fortuna di avere Massimo Dapporto come protagonista, il Premio Oscar Nicola Piovani, che era amico di Vincenzo, per le musiche, e un grande produttore Pietro Mezzasoma, che ha reso possibile tutto questo. Il tema è attuale, la storia è potentissima e nei nostri tempi diventa ancora più tossica e viscerale perché veniamo da anni di corruzione e anche di impoverimento che ha generato rabbia, frustrazione nella popolazione italiana che non crede più nella legge e nell’emancipazione democratica sociale. È la storia di un padre che lavora al Ministero che vuole “sistemare” suo figlio proprio lì, dove lui lavora da oltre trent’anni. Da qui la ricerca della “scorciatoia”, della raccomandazione per garantire un futuro al figlio.

Come mai hai deciso di non essere tra gli attori?

Mi sarebbe sembrato troppo narcisistico, non amo molto espormi e non amo le celebrazioni. Certo, mi fa piacere quando ho un riconoscimento su qualcosa in cui credo ma bisogna andarci piano oggi con il narcisismo, eh!? Bisogna affidarsi anche un po’ agli altri e non voler essere per forza dappertutto.

C’è un altro spettacolo con cui sei in giro insieme a Stefano Masciarelli, Ma allora è vero! Stavamo meglio!. L’avete scritto a quattro mani dopo il successo dello scorso anni di Stavamo meglio quando si stava peggio?

È uno spettacolo musicale costruito su Stefano che canta pezzi anni ’60. In pratica andiamo in una vecchia mansarda a scoprire degli oggetti che non ci sono più, attraverso i quali vediamo come sono cambiati usi e costumi. I treni espressi di una volta, ad esempio, in confronto all’alta velocità di adesso, come si socializzava nello scompartimento rispetto ad oggi. L’esasperazione della tecnologia anche nelle cose più basilari come un rubinetto o un interruttore della luce, le feste nelle case di una volta rispetto a quelle nei locali. Un desiderio nostalgico anche della politica, com’era vista, le idee, senza l’ossessione di parlare solo di economia. L’uomo era al centro della politica, non il denaro.

Tu a quale delle vecchie abitudini sei più legato?

Io sono un po’ fuori dai tempi, organizzo ancora molte feste a casa, tra tavolate e musica, sono un caciarone, mi piace molto la compagnia. Mi piace anche andare a ballare fuori ma amo la socialità, quella reale.

Ce l’hai un ordine di preferenza tra tv, teatro e cinema?

Non ho delle preferenze, è bello tutto quando è fatto bene, perché esiste il teatro brutto, la televisione brutta, il cinema brutto e viceversa. Non è detto che un ambito sia migliore dell’altro, l'importante è come si fanno le cose.

Dove ti vedremo oltre che in teatro?

Dal 7 gennaio sarò ne La compagnia del cigno, altra fiction di Rai 1, sei puntante dirette da Ivan Cotroneo. È la storia di dodici ragazzi che studiano al conservatorio, ognuno di loro ha dei problemi da risolvere con le rispettive famiglie. Io sono il papà di una violinista ipovedente. C’è un cast eccezionale, tra cui Alessio Boni, Marco Bocci, Dino Abbrescia, Giovanna Mezzogiorno, Anna Valle, Stefano Dionisi e c’è soprattutto Luca Bigazzi alla fotografia che è il direttore della fotografia di Sorrentino, quindi si noterà un’attenzione estetica particolare. Sempre su Rai 1, sarò nel film su Mia Martini in cui interpreto Roberto Galanti, il suo discografico.





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