Ritratti napoletani: Luigi De Filippo

Dall'incontro con Viviani al rapporto col padre Peppino: un artista col cuore in palcoscenico

    di Armando De Sio

Ironico, colto, puntuale nella sua analisi e nella sua recitazione. Queste caratteristiche possono ben descrivere Luigi De Filippo, figlio di Peppino e Adele Carloni. Nato a Napoli il 10 agosto del 1931, attore, autore, regista e scrittore; Luigi ha raccontato la sua vita e la sua esperienza in due autobiografie (“Oje vita, Oje vita mia… ricordi, viaggi, battaglie e avventure di un uomo di teatro", edita per le edizioni Fratelli Fiorentino e "Un cuore in palcoscenico. La famiglia, le passioni, i ricordi, Napoli: un uomo di teatro si racconta" edito per Mursia) in cui sono esposti tanti aneddoti poco noti e singolari. Come ad esempio l’incontro con Raffaele Viviani nel 1940, avvenuto a Montecatini, dove Peppino recitava con Eduardo. Passeggiando una volta con il padre nel parco della piccola cittadina toscana, i due incontrano don Raffaele, che, rivolgendosi a Peppino, esclama: «Voi capite De Filippo? Adesso l’editore Mondadori vuole pubblicare le commedie mie. E con la traduzione in italiano di certe parole sotto. Ma chi so’ Dante Alighieri?!» Il rapporto di Luigi con lo zio Eduardo fu affabile e affettuoso. Nella primavera del 1945 all’hotel Bertolini di Napoli, il grande zio volle leggere al ragazzo, in anteprima, una sua nuova commedia. Dirà poi Luigi: «La lettura durò un paio d’ore e fu per me una vera lezione di teatro. Eduardo leggendo interpretava tutti i personaggi con maestria sbalorditiva». Di Titina, il nipote traccia un ricordo tenero e struggente: dai giorni spensierati trascorsi da bambino con la zia a Capri all’ora tristissima in cui già vinta dalla sua “fortuna piccirella”, come diceva lei, lasciò definitivamente le scene di questo mondo.

Più complesso e difficile il rapporto con Peppino. Facciamo parlare ancora Luigi: «Esigente con se stesso e con il suo lavoro raramente l’ho visto soddisfatto di quello che faceva […] Sul lavoro non è mai stato prodigo di elogi nei miei confronti, ma mi spronava e mi incoraggiava, magari affidando solo ad un sorriso il suo assenso o, pudicamente, ad un furtivo biglietto […]: “Caro Luigi, voglio dirti che ieri sera sei stato veramente bravo… ti scrivo come attore e regista (il padre non c’entra). Stai allegro e soddisfatto”». In realtà, confessa Luigi, inizialmente Peppino non voleva che il figlio facesse l’attore. Soltanto dopo molte insistenze e qualche prima esperienza (ma con Eduardo, in piccole parti) si decise a prenderlo nella sua compagnia. Era il 1951, la presentazione in palcoscenico avvenne al Teatro Quirino di Roma. Peppino disse agli attori: «È mio figlio, vuole imparare a recitare. Vogliategli bene come gliene voglio io.» Dopo l’esperienza con il padre, Luigi sente il bisogno di avere uno spazio proprio come attore, autore, regista e capocomico, recitando in farse e commedie scritte da lui o rappresentando i classici: Plauto, Molière, Gogol, Pirandello, Eduardo, Peppino, Curcio e tanti altri. Il teatro sarà la sua vita fino alla fine: dopo un’ultima serie di recite si spegne a Roma, per una polmonite il 31 marzo 2018.





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