Fenomeno Unorthodox, una storia universale

Viaggio nella nuova serie di Netflix tra esaltazioni e aspre critiche

    di Giordana Moltedo

Se ormai consideriamo le mura delle nostre case come degli ambienti chiusi e soffocanti, dove le uniche fughe verso la libertà sono riposte nella nostra immaginazione, proviamo a calarci, anche per un solo istante, nei panni di chi, causa l’appartenenza ad un’etnia sia essa sociale o religiosa, è costretto a vivere in uno stato di reclusione perenne. Per provare, anche per un solo istante questa situazione, e capire che il nostro sacrificio di stare in casa è zero rispetto ad altre condizioni, il consiglio è di seguire la storia di Esther Shapiro, per tutti Esty, la protagonista della miniserie di quattro episodi, Unorthodox, disponibile su Netflix, ambientata nella comunità ebraica ultraortodossa chassidica di Williamsburg del quartiere di Brooklyn, New York.

La protagonista Esty, interpretata da Shira Hass, è una ragazza di diciassette anni costretta a sposare un giovane commerciante Yanky Shapiro, interpretato da Amit Rahav. Nella comunità chassidica la donna è destinata a ricoprire unicamente il ruolo di moglie e madre. Inoltre, una volta sposate, le donne sono costrette a rasarsi i capelli, al fine di indossare delle parrucche che sono il simbolo del loro nuovo status. Ma, seguendo la storia, apprendiamo che alle donne è vietato anche suonare gli strumenti musicali ed esibirsi in pubblico, perché considerato troppo peccaminoso. Eppure Esty ha una passione per il pianoforte al quale è costretta a rinunciare per quel matrimonio che, dopo un anno, si rivela disastroso, e l’induce a scappare in Europa, a Berlino, dove ha inizio la lotta della protagonista per conquistare la libertà, ponendola di fronte ad altre scelte. Così come quando esibendosi al piano in presenza dei suoi nuovi amici, allievi del conservatorio, infrangendo il politically correct esibito da questi ultimi, un’amica impietosamente, e per il suo bene, demolisce tutte le aspirazioni di Esty di entrare al conservatorio. L’amica infatti fa notare ad Esty che non basta avere l’orecchio musicale per essere una pianista, poiché chi sta lì si è esercitato fin da piccolo, ogni giorno, con il proprio strumento. E, come un fendente, arriva la frase finale: “Di sicuro hai talento per la musica e le cose sarebbero andate diversamente in altre circostanze”. Ed è qui che Esty si trova al cospetto di una scelta: tornare indietro o continuare un percorso per affermare la propria libertà, traendo la forza dalle sue fragilità, dalle paure e dalle aspettative che hanno accompagnato la sua fuga.

Le tematiche, in particolare quelle religiose, sono come sempre controverse e, non a caso, Unorthodox in queste settimane è al centro di ampi dibattiti e allora qui conviene fare un passo indietro e capire da dove proviene questa storia. La storia è il frutto di un’autobiografia scritta da Deborah Feldman che ha riscosso un grande seguito nella critica statunitense, e pubblicata in Italia recentemente dalla casa editrice Abendstern. L’autobiografia, il cui titolo è già emblematico, Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche è stata fonte d’ispirazione per le due creatrici della serie televisiva  Anna Winger e Alexa Karolinski. Le vicende di Esty narrate nella serie, tranne che nella parte berlinese della storia, dove le creatrici hanno modificato di comune accordo con la Feldman alcuni snodi narrativi e ambientazioni, rispecchiano l’essenza dell’autobiografia che si sostanzia in una più universale denuncia dell’oppressione e della negazione dei diritti umani. Infatti Unorthodox è il frutto di un eccelso processo di scrittura in grado di restituire allo spettatore non solo tutte le usanze della comunità chassidica, ma anche delle sensazioni empatiche, grazie ai tempi vuoti propri della narrazione cinematografica. Così come è eccelso il ruolo svolto dal trucco, dalle acconciature e dalla regia di Maria Schrader, la cui direzione, esalta la bravura del cast e, in particolare, Shira Hass che potrebbe rivelarsi il nuovo volto del piccolo e grande schermo.





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