Donne e aziende, il caso Franchi

L'uscita della stilista dimostra quanta strada ancora c'e' da fare per la parita'

    di Eugenia De Luca

Hanno avuto una grande risonanza mediatica le parole pronunciate da Elisabetta Franchi all’evento tenutosi a Milano giorni fa organizzato dal “Foglio” in collaborazione con PWC. Per chi non fosse a conoscenza dell’accaduto, la Franchi ha sostanzialmente ribadito come nella sua azienda la selezione delle risorse umane avvenga secondo criteri ben stabiliti, favorendo un pubblico maschile rispetto ad uno femminile, a maggior ragione se quest’ultimo si trovi a vivere una fase di vita under 40 dove il lavoro non sia l’unico focus ma anche la componente privata ricopra un suo peso.

Se n’è parlato per giorni, c’è chi l’ha accusata e chi ha preso le sue difese: ma quanto c’è di vero in ciò che ha affermato la Franchi?

La stilista ha sicuramente toccato una ferita ancora scoperta; non è recente il discorso rispetto alla tematica, anzi, affonda le sue radici nell’antichità, a quando il ruolo della donna era subordinato a quello dell’uomo, ricoprendo sì un ruolo di rilievo nell’apparato domestico, ma senza mai che questo fosse stato riconosciuto a livello sociale.

E se il discorso è lungo, e se la storia insegna, vediamo come la ciclicità degli avvenimenti tenga a ripetersi.

Durante la pandemia, quasi una donna lavoratrice su due ha incontrato difficoltà a bilanciare la vita privata con quella professionale, mentre più di una donna su cinque non è riuscita a cercare lavoro nell’ultimo anno nonostante i suoi tentativi.

L’occupazione femminile, già a livelli minimi in Italia rispetto al resto dell’Unione Europea, ha risentito diminuendo di un punto percentuale dal 2019 al 2020.

Certo, è innegabile che abbiamo ancora molto da fare per far sì che uomini e donne abbiano stessi diritti e uguali doveri; dalla sensibilizzazione mediatica ai vari disegni di legge è bene che le differenze vengano appiattite; recente, a tal proposito, è la proposta del governo spagnolo di introdurre il congedo mestruale di tre giorni per le donne, così come il periodo di congedo parentale per il padre si sia allungato di dieci giorni rispetto agli iniziali cinque.

Solo cambiando rotta, è così, forse, che non farà più notizia l’imprenditore che assume la donna in stato interessante, o l’imprenditrice che ammetterà un gender gap nella scelta dell’organico industriale.

Guardare al passato per migliorare il futuro.





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