Quel regno perduto del calcio vero

C'era una volta il pallone. Analisi di una crisi tra miti, film e superleghe

    di Mario Vittorio D'Aquino

Il calcio moderno nasceva come sport d’élite nei college universitari britannici del XIX secolo. Le classi erano formate da dieci studenti ai quali si aggiungeva anche il professore: da lì la regola degli undici giocatori in campo. Su Netflix è disponibile una mini-serie di sei episodi chiamata The English Game che rimarca proprio le vicissitudini della disciplina che da quel momento ha subito exploit pazzeschi, diventando, al giorno d’oggi, la passione principale di milioni di persone.
Una delle espressioni migliori del gioco è tradizionalmente ricollegata al Brasile e al suo mito: Pelé. Le gesta sono fedelmente raccontate nel film biografico Pelé che ripercorre la difficile vita che il fuoriclasse ha dovuto affrontare prima di entrare di diritto nella storia del calcio brasiliano e mondiale. Con i suoi gol è riuscito a vincere tre Coppe del Mondo, competizione tra le migliori Nazionali del globo a cadenza quadriennale, e vincere l’ambitissimo Pallone d’Oro alla carriera. La sua figura sportiva è sempre stata contrapposta ad un altro genio del pallone, Diego Armando Maradona, recentemente scomparso. Il numero 10 dell’Argentina e del Napoli ha fatto vivere momenti indimenticabili a milioni di tifosi e il sentimento di rivalsa personale e collettiva è perfettamente appropriato soprattutto per le sue vicende extracalcistiche.

Tanti i film che si ispirano a lui come Maradona – La Mano de Dios, appellativo che si riporta al gol beffardamente segnato con la mano nei quarti di finale del campionato del Mondo ’86 contro – proprio – l’Inghilterra e un documentario di Netflix, uscito nel 2019, chiamato Diego Maradona con immagini e video esclusivi. Sulla scia del campione argentino, colui che porta oggigiorno il pesante fardello di essere suo erede, per caratteristiche e abilità, è sicuramente Lionel Messi, il prodigio numero diez del Barcellona che annovera nel suo score più di 700 gol in partite ufficiali, di cui hanno prodotto un film chiamato Messi – Storia di un campione. La pellicola è presente su Prime Video e sulla stessa piattaforma sono catalogati documentari biografici di altri grandi esponenti dello sport più bello del mondo: Steven Gerrard, capitano storico del Liverpool e dell’Inghilterra, è stato intervistato per produrre Make us Dream, Francesco Totti è protagonista de Mi chiamo Francesco Totti (da vedere anche su Sky Speravo de morì prima, la serie tv sulla vita del capitano, interpretato da Pietro Castellitto) in cui la leggenda della Roma narra in prima persona la sua vita e svela retroscena interessanti circa la sua carriera con un retrogusto malinconico. Se invece vi siete sempre chiesti cosa succede dentro uno spogliatoio professionistico allora non dovete perdervi le serie di All or Nothing in cui la troupe di Prime Video riprende i backstage e i commenti a caldo dei protagonisti di importanti società tra cui Manchester City e Tottenham Hotspur.

Il calcio ha ispirato i creatori di anime giapponesi alla diffusione della famosissima coppia Holly e Benji che ha accompagnato lieti pomeriggi di migliaia di adolescenti appassionati e le sceneggiature che raccontano le avventure di due fantasiosi personaggi come Santiago Munez nella trilogia Goal! in cui il protagonista è un talento messicano che dalla squadra locale riesce a realizzarsi prima in Premier League e poi nel Real Madrid dei galacticos formato da leggende – galattiche appunto – come Zinedine Zidane, Figo, Roberto Carlos, Ronaldo… e Jimmy Grimble nel film omonimo nel quale un ragazzino, indossando scarpini magici, sogna di diventare un giocatore del Manchester City, di cui è tifosissimo, andando contro all’egemone dominio di quegli anni della squadra rivale, il Manchester United. Un’altra pellicola di italiana produzione, disponibile su Netflix, è Il Campione (2019) in cui un giovane promettente della Roma deve fare i conti con la propria vita privata piena di insidiose distrazioni. Per farlo tornare sulla retta via ci pensa più volte un professore che s’incarica di impartirgli lezioni (Stefano Accorsi); dai due nascerà un bellissimo rapporto culminato nel finale nel quale Christian Ferro (Andrea Carpenzano), il campione, deve fare un’importante decisione.

 

QUEL BUSINESS CHE UCCIDE LE EMOZIONI

Il calcio unisce, divide, infiamma, delude, interessa, innamora tanti tifosi all’anno. Da molto tempo a questa parte però la disciplina si è trasformata in un discutibile business perdendo – appunto – la sua vera essenza. L’intervento “a gamba tesa” di ricchissimi impresari cinesi, arabi e russi ha scombussolato il sistema calcistico europeo che è stato costretto ad istituire norme di ridimensionamento delle spese e degli investimenti sui calciatori più blasonati per non avvantaggiare in maniera disequilibrata le squadre guidate da questi “Paperoni”. Tuttavia “fatta la regola trovato l’inganno” e il Fair Play Finanziario (il regolamento in questione) dettato dalla FIFA, l’organo legislativo ed esecutivo del calcio mondiale, diventa una barzelletta: tra fittizi pagamenti di contratto, manovre finanziare oscure e scriteriati prezzi che non corrispondono alle reali prestazioni dei giocatori, i team d’élite del pallone riescono sempre a farla franca. Vittime di questo sistema iper capitalista che è diventato il calcio sono, come sempre, i tifosi che da oltre un anno, almeno in Italia, seguono le partite della propria squadra del cuore da casa costretti a pagare uno o addirittura due, tre abbonamenti al mese. Dall’anno prossimo infatti per seguire il massimo campionato italiano e le coppe europee (Champions League, Europa League e Conference League) i fans dovranno abbonarsi a Sky che prevede le suddette competizioni e tre partite in co-esclusiva di Serie A, a DAZN (la piattaforma streaming) per guardare le 7 esclusive del campionato e ad Amazon Prime Video che detiene i diritti di 16 big match di quella che veniva chiamata “Coppa dei campioni”.

 

UN CALCIO AL FUTURO O LA FINE DI UN’ERA?

In questi ultimissimi giorni l’argomento “calcio” sta rimbalzando in tutti i mass media del Continente. Nella notte di domenica scorsa, sulla base del modello del basket americano dell’NBA, è stata lanciata la Superlega, ideata dai presidenti delle massime squadre europee. Hanno aderito inizialmente al progetto: Juventus, Inter, Milan, Real Madrid, Barcellona, Liverpool, Manchester City per fare alcuni esempi, salvo poi la fuoriuscita in massa di molti club dalla competizione, poco più di quarantott’ore dopo.
Come era programmato questo nuovo campionato? Sarebbero state iscritte venti squadre, divise in due gruppi da dieci, per meriti storici e sportivi. Le fondatrici (circa dodici) avrebbero avuto sempre accesso al torneo ed esso si sarebbe disputato calendarizzandolo assieme al campionato nazionale verosimilmente dall’anno 2022. Una mossa che avrebbe giovato al business incommensurato del sistema: per Florentino Perez, patron dei capitolini spagnoli blancos, questa opportunità è stata data ai più prestigiosi club per migliorare anche quelli non iscritti alla nuova lega, rintanandosi così nella sua nuova idea di Versailles calcistica che sa molto di affabulazione.

Ampio sostenitore del cambio di rotta è Andrea Agnelli, presidente dei bianconeri della Juve, primissimo progettista della Superlega. Di contro la UEFA (organo principale del calcio in Europa), rea – secondo i presidenti promotori – di aver programmato la nuova Champions League che partirà dal 2024 con eccessivo allargamento delle squadre e con una conseguente irrilevanza di alcune partite e quindi di cospicui diritti tv, aveva minacciato i club fondatori di non far partecipare più le società nei rispettivi campionati e, per i team che avrebbero avuto intenzione di far marcia indietro dopo l’istituzione della settaria coppa, di farli ripartire da campionati minori. Inoltre per i giocatori che avrebbero aderito, sarebbe stato vietato vestire la maglia della rispettiva Nazionale. Le critiche non sono a tardate ad arrivare: Gary Neville, storico capitano e difensore del Manchester United, si è detto “disgustato” in un’intervista lo scorso sabato per la nuova direttiva che ha scelto il suo ex club e che cancellerebbe volentieri i titoli vinti dall’albo; mentre Jurgen Klopp, attuale allenatore del Liverpool, era pronto a lasciare la panchina dei Reds qualora la società sarebbe rimasta nella Superlega, seguito da supporters della squadra che temporaneamente avevano rimosso gli striscioni affissi in curva. Tramite una nota ufficiale LaLiga, massimo campionato spagnolo, aveva condannato la proposta come “secessionista ed elitaria” e allo stesso tempo i club tedeschi avevano deciso di non partecipare al nuovo progetto dimostrando che la loro metodica sia la forma più pura di questo sport. L’indignazione è provenuta anche dalle più alte figure di Governo come dimostrano i tweet dei Primi Ministri Emmanuel Macron e Boris Johnson sui rispettivi canali social. Ma il ruolo fondamentale in questo braccio di ferro titanico lo hanno avuto i tifosi e moltissimi calciatori che in massa hanno respinto con forza questa velenosa innovazione. La minaccia è, come detto, formalmente rientrata ma il seme è stato piantato.

Se è vero che dietro a questo “calcio verso il futuro” ci sarebbe stato un finanziamento di banche importanti come la JPMorgan Chase, una multinazionale americana pronta a investire oltre 3,5 miliardi di euro, cifre che non riescono a coprire le attuali finanziatrici del pallone, è altrettanto vero che quest’ultima innovazione sarebbe stata la totale decapitazione di uno sport che – ormai da tempo – ha perso i suoi veri valori, come lo dimostra anche la fine dell’era delle bandiere. Tutti quei bambini diventati grandi con gli anime di Holly e Benji, che scambiavano le ambitissime figurine dell’album Panini, che hanno corso dietro un pallone come Jimmy Grimble o hanno sognato una vita da calciatore come Santiago Munez in Goal! nel segno di Maradona e Pelè, riconoscono che il calcio non è più come prima (la Superlega è solo la conferma) e alle future generazioni va insegnato che il professionismo di questa disciplina è puro show, un prodotto da vendere, provando a preservarle così da tristi disillusioni sportive.





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