Cinque autori inglesi contro la Brexit

Cosa avrebbero detto Sterne, Woolf, Eliot, Duffy, Byron dell'uscita dall'Ue

    di Maria Neve Iervolino

Gli inglesi il giorno 23 giugno hanno votato con una maggioranza del 51% il leave al referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. Questo risultato, oltre a mutilare il volto dell’Europa, ha creato fratture anche all’interno dello stesso Regno Unito. Tralasciando le analisi economiche e politiche, cosa avrebbero pensato i grandi interpreti della poesia inglese di questa spaccatura? Questa breve scelta di autori e opere si propone di mostrare il legame che sempre l’isola inglese ha avuto con l’Europa continentale.

1. Laurence Sterne, scrittore britannico nato in Irlanda, ha pubblicato nel 1768 A Sentimental Journey through France and Italy, tradotto in Italiano da Ugo Foscolo. Quest’opera di Sterne ha importanza perché attraverso una garbata parodia, canonizza la moda del Grand Tour, il viaggio europeo con tappa obbligatoria in Francia e Italia compiuto dai giovani di alta estrazione sociale come coronamento della loro educazione.

Eppure la mia fantasia s’era già lusingata d’immagini allegre! E oh quanto l’anima mia s’aspettava di tumultuar nella gioia di quel viaggio, e in quei giorni della vendemmia, e per quelle spiagge amenissime della Francia! Ma! Quivi appunto il dolore mi aprì la sua porta; e ogni gaia speranza m’abbandonò. In ciascheduna di quelle scena di giubilo m’appariva nel fondo la pensosa Maria sedente all’ombra del pioppo […].

Scrive Yorik prima di lasciare l’amata e la Francia!

 

2. Lord Byron, muore prima di sbarcare nella Città sacra di Missolungi nel 1824. Visse in molte città italiane, frequentando i salotti letterari e scrivendo versi dedicati ad alcuni dei più rappresentativi autori dell’Italia settentrionale. Per non smentire la fama consolidata di nobile uomo d’azione non disdegnò anche sul suolo italiano le donne e l’armi. Una delle opere più rappresentative dello spirito cosmopolita di Byron è The Prophecy of Dante, componimento in quattro canti in terza rima, scritto nel 1819 e dedicato al “magno italo Vate”. Nella prefazione Byron si rivolge al lettore: “Supponga, che Dante s'indirizzi a lui nel tempo che passò tra il compimento della Divina Commedia e la morte di lui, e presagisca, poco innanzi quest'ultimo evento, le vicende d'Italia nell'età successive.

Canto I, v. 59-68

I would have had my Florence great and free;

Oh Florence! Florence! Unto me thou wast

Like that Jerusalem which the Almighty He

Wept over, "but thou wouldst not"; as the bird

Gathers its young, I would have gathered thee

Beneath a parent pinion, hadst thou heard

My voice; but as the adder, deaf and fierce,

Against the breast that cherished thee was stirred

Thy venom, and my state thou didst amerce,

And doom this body forfeit to the fire.

Alas! how bitter is his country's curse

To him who for that country would expire,

But did not merit to expire by her,

And loves her, loves her even in her ire!

Firenze volea libera e grande:

Oh Firenze! Firenze! Al mio sguardo

Tu a Gerusalemme simil, su cui l'istesso

Onnipotente Iddio dall'alto pianse

Ma non volesti; come i nati accoglie

L'augel, io sotto le paterne penne

Te accolta avrei, se la mia voce udivi:

Ma, del colubro al par, sorda, feroce,

Incontro al petto, che di tanto amore

Era caldo per te, la velenosa

Lingua vibrasti; ogni mio ben fu assorto,

E questa salma destinala al foco.

Ahi! quanto della patria amaro sona

Il maledir, all'onoralo figlio.

Che a morir pronto per la patria fora,

Ma di morir per la sua man non merta,

E ha lei nel cor, lei sola, anche nell'ira!

Byron è stato spinto verso l’Europa dalla moda del Grand Tour, e verso la morte dalla lotta per l’indipendenza della Grecia. La sua parabola di poeta bello e dannato si è compiuta in quel viaggio, dove sull’altare della cultura occidentale ha sacrificato non solo i versi ma la propria vita.

 

3. Il nome di Virginia Woolf, scrittrice nata a Londra nel 1982, è da annoverarsi fra quelli dei grandi scrittori in lingua inglese. Con la casa editrice di proprietà sua e del marito pubblicò molti dei grandi romanzieri della sua epoca, tra questi Italo Svevo.

La sua scrittura di viaggio è dalle molte sfaccettature, così mentre nei diari desidera “raccogliere il materiale che più tardi potrà servire a una mano più esperta, oppure suggerire allo sguardo immagini infinite”, nelle lettere mostra la disillusione verso il popolo Europeo. Nel 1904 all’amica Emma Vaughan scrive dell’Italia: “Non c’è mai stato un paese più bestiale di questo, con le sue ferrovie, le sue strade, i suoi negozi, i suoi mendicanti e molte delle sue usanze. […] Dove deve rivolgere lo sguardo, certe volte, una donna per bene?

La Grecia ha lasciato una profonda impressione su Woolf, per i suoi paesaggi mitici e selvaggi, legati al ricordo dei classici letti in patria.

Ci sono grandi Platani che distendono le loro mani amorevoli e ci sono piccole siepi graziose, disposte quasi come in un giardino, e c’è un ruscello che pare cantarne le lodi e le delizie del vino e del canto. Si poteva sentire la voce di Teocrito nel lamento che faceva sopra i ciottoli, e alcuni degli inglesi l’hanno udita effettivamente […]. Qui, in ogni caso, la natura e il canto della classicità indussero gli amici a smontare e a riposarsi.

 

4. George Eliot, pseudonimo di Mary Ann Evans, è la grande rappresentante dell’epoca vittoriana. Dimostra il suo interesse per l’Europa continentale con i versi di The Spanish Gypsy, e con la novella storica Romola, “uno studio sulla vita nella città di Firenze da un punto di vista intellettuale, artistico, religioso e sociale” secondo quanto scritto dall’autrice stessa. Eliot richiama le principali figure del rinascimento italiano: i componenti della famiglia Medici e Girolamo Savonarola, numerose anche le ispirazioni tratte dalla novellistica fiorentina, in particolare dal Decamerone.

Nell’incipit il protagonista attraversa la Firenze del 1942:

«[…] E qui, sulla destra, stanno i lunghi e scuri massi di Santa Croce dove seppellimmo i nostro famosi morti, posammo l’alloro sulle loro fredde braccia e soffiamo su di loro con il respiro della preghiera e degli stendardi, ma Santa Croce non ha ancora guglie: noi fiorentini siamo troppo pieni di grandi progetti di costruzioni per farli tutti in pietra e marmo; abbiamo i nostri affreschi e i nostri reliquiari per cui pagare per non parlare dei rapaci condottieri reali corrotti, e comprare territori, e le nostre facciate devono necessariamente aspettare

 

5. Carol Ann Duffy, poetessa laureata, nata in Scozia nel 1955. Si è adoperata attivamente contro la Brexit, firmando insieme ad altri grandi autori e celebrità una lettera aperta a favore del remain britannico nell’Unione Europea.

In Beasts and Beauties: Eight Tales from Europe ha riadattato alcune favole che da sempre fanno parte dell’immaginario culturale europeo, oltre ad aver curato una edizione inglese delle fiabe dei fratelli Grimm.

La Gatta Cenerentola di Giambattista Basile ha così attraversato la Foresta Nera dei fratelli Grimm e con scarpette di cristallo la Francia di Charles Perrault, per arrivare nella Londra multietnica di Duffy.

Di questa autrice contro gli stereotipi sarebbe anacronistico proporre un estratto o un’opera in particolare che evidenzi la sua connessione con l’Europa, meglio sarebbe mostrare la sensibilità di poetessa nell’affrontare il tema della migrazione e della multiculturalità: Originally:

We came from our own country in a red room

Which fell through the fields, our mother singing

Our father's name to the turn of the wheels.

My brothers cried, one of them bawling Home,

Home, as the miles rushed back to the city,

The street, the house, the vacant rooms

Where we didn't live any more. I stared

At the eyes of a blind toy, holding its paw.

[…]

I remember my tongue

Shedding its skin like a snake, my voice

In the classroom sounding just like the rest. Do I only Think

I lost a river, culture, speech, sense of first space

And the right place? Now, Where do you come from?

Strangers ask. Originally? And I hesitate.

Siamo arrivati dal nostro paese in una stanza rossa

Che attraversava i campi, con mia madre che cantava

Il nome di nostro padre a ogni giro della ruota.

I miei fratelli piangevano, uno di loro urlava Casa,

Casa, mentre le miglia tornavano indietro nella città,

Nella strada, nella casa, nelle stanze vuote

Dove noi non vivevamo più. Fissavo

Gli occhi di un peluche cieco e gli stringevo la zampa.

[…]

Ricordo la mia lingua

Muta come un serpente, la mia voce

In classe suona come le altre. Penso

Di aver perso un fiume, una cultura,  una parlata, il Senso del primo spazio

E del posto giusto? Ora: Di dove sei?

Domandano gli estranei. D'origine? E io esito.

L’Italia era un’unità culturale e linguistica già prima del 1860, consapevoli di ciò, del valore fondativo di una cultura collettiva e forse anche di una lingua comune, si potrebbe sperare di tenere unita l’Europa come Continente delle lettere? Goethe, l’ultimo uomo universale, è stato il primo a parlare di Weltliteratur, letteratura mondiale, pilastro della comparatistica moderna, che oggi sarebbe utile riscoprire come antidoto all’avanzata della xenofobia e dei nazionalismi.





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