Maglia nera al Giro d'Italia

Edizione 2019, il Sud tagliato fuori dalla corsa

    di Max De Francesco

Rubo una battuta al mio amico giornalista Espedito Pistone che, nel vedere la mappa del prossimo Giro d’Italia - edizione 102, claim “Amore infinito” -, ha scritto sui social: «Sarà il Giro d’Ita». Noi che sappiamo che la magia della bicicletta non tramonterà mai, che abbiamo esultato e pianto per Pantani, seguito con amore infinito i Moser, i Chiappucci, i Bugno, spinto con occhi e fiato lo “squalo dello Stretto” Nibali e il “cavaliere dei Quattro Mori” Aru, letto e riletto i reportage di Dino Buzzati, Alfonso Gatto, Vasco Pratolini, Achille Campanile, Anna Maria Ortese e Gianni Mura, dove il racconto delle tappe diventa epica, il passaggio dei corridori nel corpo del Paese è viaggio culturale per riscoprire l’incanto dei luoghi e la narrazione della gara sconfina nel romanticismo tra monti togati e «cavalieri erranti che partono a una guerra senza terre da conquistare», noi sappiamo anche che la “corsa rosa”, per principio e buon senso, dovrebbe sempre attraversare l’intero Stivale perché è un romanzo italiano in cui nessuno dei popoli, dei cieli, delle meraviglie e dei campanili italiani va tenuto fuori. Il buon senso ormai è merce rara. È quasi una parolaccia. La prossima edizione della corsa è un romanzo senza capitoli sul Sud, dove c’è un’Italia che pedala e un’altra che non pedalerà. Un Giro che è la cartina al tornasole del Paese: il Nord al manubrio che partecipa alla competizione; il Sud ai box con le ruote bucate, costretto al ruolo di spettatore, neanche di gregario. Un Mezzogiorno escluso dalla corsa andrebbe motivato. Qui non significa alimentare una “questione ciclistica meridionale” con il rischio di produrre sbandate antinordiste e spericolate volate identitarie: no, qui si è compiuta una scelta del campo di gara che va spiegata per evitare il diffondersi di storie di complottismi e pregiudiziali ragionamenti, così in voga in questi tempi spaesati.

Che ci venga detto perché il Sud è fuori gioco. Non conviene portare la carovana dei ciclisti in Calabria Saudita, in Campania Felix, nel Tavoliere della Taranta, nella Lucania lunare o nella Sicilia dal sole narcotizzante perché i costi sono stellari e il ritorno economico è da “maglia nera”? Che ci venga detto. Si è preferito puntare a una competizione concentrata nel Centro-Nord per evitare eccessivi spostamenti e tenere sotto controllo la cassa dell’evento? Che ci venga detto. Nei 3.518,5 km del tracciato il contachilometri del Mezzogiorno rimarrà fermo, se si esclude la sesta tappa, Cassino-San Giovanni Rotondo, 233 chilometri benedetti da Padre Pio, di cui Coppi era un fedelissimo. Che non ci venga detto però, anche se già è avvenuto, che «la prossima edizione della Corsa Rosa sarà praticamente tutta italiana con unico sconfinamento nella Repubblica di San Marino». Così leggiamo sulla Gazzetta dello Sport e appare paradossale che nell’anno in cui l’evento è tutto casalingo, il Sud sparisca dalla cartina come se insistesse su un suolo straniero. Che non ci venga detto, come ha sostenuto Urbano Cairo, editore di Rcs Media Group, nel corso della presentazione della corsa, che «il Giro d’Italia è anche la vetrina di un paese bellissimo». Certo, un paese bellissimo ma con una vetrina parziale in cui il “prodotto Mezzogiorno” non arriverà sugli scaffali proprio nel 2019, l’anno che vedrà Matera rappresentarci come capitale europea della cultura.

Nel guardare la mappa che illustra l’itinerario dell’edizione 102 dell’evento rosa, la definizione che istintivamente sovviene è quella di “mappina”, che è diminutivo di mappa, anche se la parola al Sud contempla altri significati non certo trascurabili. Nel 1949 Buzzati seguì per il Corriere della Sera il 32° Giro d’Italia, producendo venticinque articoli memorabili. Nel libro che li raccoglie è pubblicata anche la mappa di quell’edizione così confinante con gli ultimi fuochi della guerra. Una mappa italiana: prima tappa a Palermo, ultima a Milano. L’Italia lacerata dalla fame e dal conflitto appariva unita in quell’immagine ciclistica, in quel percorso che le carezzava e curava le ferite. Un corpo solo, una visione simbolicamente aggregante: la fiaba della bicicletta era per tutti. L’ultimo pezzo da inviato speciale di quel Giro di settant’anni fa Buzzati lo finirà così, scollinando nella poesia: «Tu non badarci, bicicletta. Vola, tu, con le tue piccole energie, per monti e valli, suda, fatica e soffri. Dalla sperduta baita scenderà ancora il taglialegna a gridarti evviva, i pescatori saliranno sulla spiaggia, i contabili abbandoneranno i libri mastri, il fabbro lascerà spegnere il fuoco per venire a farti festa, i poeti, i sognatori, le creature umili e buone ancora si assieperanno ai bordi delle strade, dimenticando per merito tuo miserie e stenti. E le ragazze ti copriran di fiori».





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