Il caso Orlandi in un film

In La verità sta in cielo Roberto Faenza ricostruisce la storia della ragazza scomparsa nell'83

    di Antonio Di Dio

La verità sta in cielo di Roberto Faenza. Un film che si inserisce di diritto nel filone cinematografico dei film d’inchiesta, che da sempre ripercorre la storia della seconda repubblica italiana, da “Le mani sulla città” del 1963 di Francesco Rosi, passando per “Un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri del 1977, sino ai più recenti “Il muro di Gomma” del 1991 di Marco Risi e “Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana di qualche anno fa, solo per citarne alcuni. Un cinema di impegno civile rappresentativo di un periodo storico in Italia denso di abitudini pericolose e di misteri irrisolti. Il film di Faenza, attraverso l’inchiesta di una giornalista inglese (Maya Sansa) inviata in Italia dopo il clamore di Mafia Capitale, con l’aiuto di una giornalista italiana (Valentina Ludovini) cerca di ricostruire la vicenda della scomparsa nel 1983 di Emanuela Orlandi, che all’epoca suscitò molto clamore in quanto cittadina dello stato vaticano. 

Attraverso la figura di Sabrina Minardi (Greta Scarano) in quegli anni compagna di Renato De Pedis (Renato Scamarcio) detto anche Renatino, ex membro della banda della Magliana, freddato nel 1990 e sepolto nella basilica di Sant’Apollinare a Roma, si ripercorre l’intera vicenda, dal giorno della scomparsa di Emanuela il 22 giugno 1983 sino ai giorni nostri, puntando i riflettori su un arco di storia denso di significato, in cui andranno ad intersecarsi scandali e morti misteriose, come il crack finanziario del Banco Ambrosiano e la morte del banchiere Roberto Calvi che evitò allo Ior (la banca vaticana) uno scandalo finanziario importante e pericoloso, e che misteriosamente fu trovato impiccato a Londra. Arresti mancati come quello dell’arcivescovo Paul Marcinkus (Presidente dello stesso Ior) condannato in Italia nel 1987, perché implicato nel caso Calvi, e riciclaggio di denaro sporco proveniente dalle casse della mafia in connessione con la P2, che evitò l’arresto per passaporto diplomatico vaticano.

Senatori e forze dell’ordine pagati a suon di mazzette, scandali, prostituzione, riciclaggio, omertà, morti ammazzati sono le maglie che si tessevano sotto la cupola Vaticana, in cui Renato De Pedis era il cardine, il focus, l’uomo della storia, il punto focale d’incontro tra malavita, chiesa e politica nella Roma di quegli anni. Sabrina Minardi è il testimone, la voce di quella storia, una storia di cui la scomparsa di Emanuela non è che l’inizio, il prezzo che la chiesa ha dovuto pagare per aver peccato di quella lussuria, che a tutt’oggi nonostante il mea culpa sembra non voler scardinare dalle proprie fondamenta. Faenza riesce, in un film che in un certo senso si compone attraverso un mix, di immagini reali e filmiche, a raccontarci una realtà che sembra superare la fantasia.

Fatti e persone che vengono tenuti insieme in maniera lucida e allo stesso tempo efficace, mostrano un percorso complesso e una serie di collegamenti tra eventi, che sembrerebbero distanti tra loro: Calvi, Marcinkus, De pedis, la Minardi, tutti concorrono a descrivere, come pedine necessarie, un disegno più grande: quell’arco di tempo pre-tangentopoli tanto caro alla magistratura. La verità sta in cielo è un film storico, d’inchiesta, un atto di accusa forte all’omertà che la chiesa ha mostrato e che ancora tutt’ora osserva nel dare voce ad un passato scomodo. Ciò che appare dalla pellicola di Faenza è che forse Emanuela fu qualcosa di più di un semplice rapimento, forse il principio di quella Roma oggi specchio di un’Italia complessa, difficile, dannatamente corrotta nell’animo.





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