Va via un'estate amara
Il 14 agosto, col ponte Morandi, crollano le vite di tanti giovani. Andavano solo in vacanza...
di Amedeo Forastiere
Anche queste vacanze son finite. Come dicevo nell’articolo precedente si riduce sempre di più il periodo di riposo. Quand'erano più lunghi c’era sempre qualcuno che tornava stanco, poco abituato al non far niente, gli iperattivi rientravano nervosi, con la fretta di riprendere il lavoro, mentre gli svogliati erano sempre malinconici e tristi, nostalgici del dolce far niente, delle ore sdraiati al sole come lucertole, che sono sempre preferibili al noioso e ripetitivo lavoro.
Voltiamo pagina. L’estate appena passata non è stata delle migliori: il tempo capriccioso passava dal caldo africano con sole accecante alla pioggia con tuoni e fulmini, abbassando la temperatura di molti gradi. Quest’anno una sciagura ha scelto proprio il giorno di ferragosto per scatenarsi, con tutta la sua crudele violenza, togliendo la vita a tanti giovani che si trovavano proprio sul quel tratto di strada per andare in vacanza. Il crollo del viadotto di Genova, il ponte Morandi.
La tragedia di Genova ha sicuramente calato un sipario nero non solo su tutti quelli che volevano un’estate da ricordare, ma anche per coloro che avevano scelto di rimanere a casa. Genova è una delle città di mare più belle. Gloriosa repubblica marinara, la città che diede i natali a Cristoforo Colombo, purtroppo quest’anno sarà ricordata non per la sua storia, ma per un infausto crollo.
L’ho attraversato diverse volte, era veramente impressionante guardare giù, quelli che soffrivano di vertigini chiudevano gli occhi, dicendo a chi guidava: Accelera, dai fai presto! Personalmente credo, e qui sicuramente per qualcuno sbaglio (ma chi se ne frega) forse si poteva evitare. Bisogna evidenziare le colpe di chi non è stato attento o ha svolto il lavoro di controllo con leggerezza, come se controllare un viadotto dove passano migliaia di persone fosse una cosa di poco conto. Così hanno trattato la vita di decine di persone giovani, come fosse qualcosa di leggero, di poca importanza.
Un crollo in tutto, umano, sociale, politico. Non entro nella polemica speculativa, sia politica sia imprenditoriale. Mi soffermo sull’aspetto umano, sì, lasciatemelo fare, alla mia età non c’è più tempo per pensare se quello che dico può offendere qualcuno o elogiare qualcun altro. Poiché una tragedia del genere coinvolge giovani che hanno tutto il diritto, il sacrosanto diritto di vivere la propria vita. D’improvviso questo diritto è spezzato, non per colpa propria, come a volte accade quando un giovane si mette al volante della propria auto ubriaco e a duecento all’ora va a sbattere contro un muro e ci lascia la vita. Beh, forse in quel caso si può attribuirgli una parte di responsabilità.
Nel crollo del ponte Morandi hanno lasciato la vita giovani che non avevano bevuto, non avevano assunto sostanze, attraversavano solo quel tratto di strada; diventato poi maledetto. Andavano in vacanza, con gli amici di sempre a divertirsi, con la spensieratezza dei giovani, quella stessa che tutti noi alla loro età abbiamo avuto. Noi siamo stati più fortunati, non abbiamo trovato ponti fatiscenti, che cadono giù come i castelli di sabbia.
Il mio pensiero va alle famiglie, ai genitori che hanno visto partire i loro ragazzi contenti per una pausa sognata e progettata per un anno intero. Sarebbero arrivate tante foto su WhatsApp, sorridenti e felici, da spiagge lontane. E tanti racconti da snocciolare al ritorno, a chi li aspettava con la curiosità di sapere. Quel ritorno non ci sarà mai, spezzato dalla leggerezza di chi doveva essere meticoloso nel proprio lavoro e non lo è stato.
Di solito, quando finisce la vacanza, l’ultima sera si va in spiaggia, una sorta di rimpatriata, la cenetta improvvisata con gli amici, vecchi e nuovi. Qualcuno si apparta tra le barche messe a dormire poggiate su un fianco, per sbaciucchiarsi con la conquista dell’estate tra gli ombrelloni chiusi che danno un po’ tristezza, che dicono l’estate è finita.
Un mio amico, Max, tradizionalista, che da anni fa sempre la stessa vacanza proprio sulla Riviera di Levante, mi ha raccontato che l’ultimo giorno, anzi l'ultima sera prima di partire, è andato con i suoi amici in spiaggia, a reiterare una tradizione, a salutare l’estate che va via.
«C’era poca gente, tutti a guardare in lontananza dove il mare si fonde col cielo, come se da qualche parte mischiata tra le nuvole della notte, ci fosse stata la risposta alla tragedia appena accaduta. Il mare quasi silenzioso, nel rispetto di chi non ha assaporato quel suo delicato sapore salato, si spendeva sul bagnasciuga. Gli ombrelloni chiusi in riva di mare, sembravano persone che pregavano davanti a un altare».
Alla prossima, ragazzi.