Sogno di una notte di mezza estate

Isa Danieli e Lello Arena, diretti da Claudio Di Palma, conquistano al San Ferdinando

    di Teresa Mori

Isa Danieli e Lello Arena interpretano Titania e Oberon nel “Sogno di una notte di mezza estate” di Ruggero Cappuccio, che al San Ferdinando (dal 10 al 21 di febbraio) ha visto la regia di Claudio Di Palma, le scene di Luigi Ferrigno e i costumi di Annamaria Morelli. “Il pazzo, l’amante e il poeta non sono composti che di fantasia”: scrive Shakespeare in “Sogno di una notte di mezz’estate”: una notte magica il cui titolo ne svela immediatamente l’atmosfera onirica, irreale anche se, come viene precisato, la notte in cui si svolge gran parte dell’azione è quella del calendimaggio, la celebrazione del risveglio della natura in primavera e non in estate. E comunque augurio di un risveglio gioioso. Ma è davvero così? Tre mondi si contrappongono anche in questo allestimento come all’interno di un enorme carillon: il mondo della realtà (quello di Teseo, Ippolita e della corte), il mondo della realtà teatrale (gli elfi che si preparano alla rappresentazione) e il mondo della fantasia (quello degli spiriti, delle ombre). Ma i sogni alle volte possono trasformarsi in incubi: il dissidio fra Oberon e Titania che rivela a un certo punto un terribile sconvolgimento nel corso stesso delle stagioni, la brutalità di certi insulti che gli amanti si scambiano sotto l’influsso di un quasi sortilegio.

E in questo sogno i protagonisti, Lello Arena ed Isa Danieli, posti in scena su un letto, sembrano una coppia di sposi datati ma affiatati, resi stanchi e quindi assonnati da una vita di dolori e stenti di una Napoli antica, romantica, trascendentale. Perfettamente calati nelle ampie e candide vesti di sonnambuli, fra sogni incubi ed apparizioni, hanno snocciolato la nota storia scespiriana in modo semplice e cadenzato quindi comprensibile a tutti. Il sipario si apre su un intricato fondale costellato di mezzibusti sapientemente evidenziati dal gioco di luci diventando speculare proiezione della frammentazione interiore dei personaggi, un luogo  incantato e misterioso, popolato da creature magiche. Ed è qui che vive la strana  coppia di sposi – Oberon, re degli Elfi, e Titania, regina delle Fate – in disputa per un giovane protetto della regina che Oberon vorrebbe come suo paggio. Una scenografia suggestiva e fissa, ma in grado di “trasformarsi” sotto gli occhi del pubblico grazie alle grandi abilità attoriali dei due superlativi attori che nei tre piani della storia, al contempo distinti ma inestricabilmente intrecciati tra loro, hanno dato vita a un continuo gioco di rimandi innescando un riuscito meccanismo meta-teatrale dove tutto sembra manovrato da un potente burattinaio. Il risultato è assolutamente sorprendente: la riscrittura infarcita di incursioni dialettiche risulta divertente ma non scontata, riuscendo sempre a mantenere il giusto equilibro sul “filo” della narrazione.

Capace di suscitare risa a scena aperta, ma tenera e commovente al tempo stesso, la vicenda dei due amati attori napoletani, piccolo gioiello all’interno di un’opera già preziosa, grazie ai comici intermezzi dialettali e alle buffe e singolari interpretazioni dei personaggi, che sono riusciti comunque a trasmettere appieno il portato emotivo di una vicenda delicata e triste.





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