LIBRI Partita Penelope

Il mito nei versi di Simone Di Biasio

    di Enza Silvestrini

Partita Penelope (Fusibilialibri, 2016) è un titolo curioso per la posizione che la parola “partita” occupa e per la sua ambiguità semantica. Penelope è partita? Ha rinunciato alla tela da tessere, all’attesa di Odisseo, al suo ruolo di donna-ape (come sottolinea Alessia Pizzi nella prefazione), stereotipo della donna fedele e pudica, relegata nel chiuso dello spazio domestico? Partita per avventurarsi nel vasto mondo affinché l’eroe, tornato a casa dal suo lungo viaggio durato venti anni, trovi un letto vuoto?

Di certo, suggerisce nel titolo Simone Di Biasio, la partita è aperta. È aperto il nostro rapporto con il mito, la nostra capacità di riattualizzarlo raccontandolo e riscrivendolo. E Simone Di Biasiosi avventura in uno dei miti più famosi e longevi della storia culturale dell’Occidente, uno dei miti fondativi della nostra identità. Il mito e le sue interpretazioni nel tempo ci consegnano la narrazione dell’astuzia e della curiosità di Odisseo, primo uomo moderno, della forza di Penelope, ma anche dei suoi arguti inganni per conservare la fedeltà e il trono allo sposo lontano; delle avventure favolose e amorose di Odisseo, disperso tra i flutti nella sua lotta persino con gli dei, e della solitudine di Penelope; ci consegnano (anche nelle successive stratificazioni del mito) un esempio, riperpetuato nel tempo, dei rapporti di genere: all’uomo attiene il viaggio e la vastità del mare, alla donna la casa da preservare e la paziente arte della tessitura. In questo modo, per secoli e spesso ancora oggi, si sono inverati i rapporti tra maschile e femminile.

Tuttavia, dice dai suoi versi Simone Di Biasio, il mare, con la sua forte valenza simbolica, non appartiene solo a Odisseo, ma forse ancor più profondamente a Penelopepoiché nel suo nome è scritto questo destino. Una delle etimologie più accreditate è che il nome πηνέλοψ indichi un tipo di anatra. Una variante del mito racconta che il padre di Penelope la gettò bambina in mare poiché l’oracolo gli aveva predetto che quella figlia avrebbe tessuto il suo sudario. Un gruppo di anatre arrivò a salvarla. Di questo mito e di questa etimologia era consapevole uno degli artisti più complessi del Novecento come Alberto Savinio che ritrasse Penelope in veste regale, con il corpo di donna e il volto di uccello (La fidèlé épouse, 1930-31).

Nel mare, dunque, fu gettata Penelope, dal mare fu salvata da creature acquatiche, nel mare la ritrova l’Odisseo di Di Biasio: “Mai avrei potuto sentirti più vicina / come sfiorando la pelle del mare”. Nel monologo in versi di Simone Di Biasio (accompagnato dalle tavole di Stefania Romagna e dalla traduzione in greco di Evangelia Polymou) a parlare è un Odisseo illanguidito dall’amore e dalla partenza di Penelope che, invece, si “riprende il mare e il tempo” poiché “la vastità m’attende oltre la gabbia”. Così Penelope, come ci avverte la dedica, è tra coloro che hanno il coraggio di partire. E di tornare.

 

 





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