LIBRI Luce d'estate: ed e' subito notte

Jon Kalman Stefansson e la sua «Macondo» del Nord Europa

    di Flora Fiume

“A volte nei posti piccoli la vita diventa più grande”: potrebbe essere un ottimo punto di vista per tutti noi costretti a vivere nelle quattro mura domestiche da un po’ troppo tempo e fino a quando chissà. Ma in realtà è solo il modo con cui Jon Kalman Stefansson descrive il paesino islandese di circa quattrocento anime che fa da sfondo al suo romanzo “Luce d’estate: ed è subito notte” (Ed. Iperborea). Con questo libro che è stato pubblicato in Islanda nel 2005 e in Italia nel 2013, Stefansson si è accreditato come scrittore anche a livello internazionale, arrivando al successo con la vittoria del Premio Letterario Islandese. In precedenza si era occupato di tutt’altro.

Nella sua biografia si scopre che è stato bibliotecario, muratore, impiegato in un macello, nell’industria ittica, e ufficiale di polizia aeroportuale. I luoghi in cui sceglie di immergere le vicende di Gudmundur, Sigridur, Kjartan, e un’altra serie di personaggi dai nomi difficilmente pronunciabili sono surreali, onirici, raccontano di un mondo sospeso tra la terra e il cielo, come scrive l’editore nella quarta di copertina. Che aggiunge che le storie del romanzo sono “come un mito universale, una parabola dell’esistenza, ogni pagina è una rivelazione che ci tocca nel profondo e ci stupisce, ci fa ridere, piangere, arrossire, sognare”. L’aspetto che più stupisce, man mano che si procede con la lettura, è la sensazione di rivivere attraverso le parole dell’autore, le ambientazioni sudamericane del realismo magico di Marquez.

Il Sud America e il Nord Europa, luoghi così geograficamente lontani, non sono mai stati così emotivamente vicini. Sembra quasi di stare a Macondo, leggendo del direttore del Maglificio che decide di abbandonare tutto e rinchiudersi in casa studiando solo latino e astronomia. O dell’improbabile tradimento del grasso Kjartan con l’atletica Kristin, colti da un’onda di erotismo mentre lui è impegnato in un’attività qualunque, quella di riparare una staccionata, e lei corre per i campi. O della rappresaglia sugli animali quando la moglie di lui scopre la relazione clandestina. O ancora della spaventosa storia di tutte le lampadine del deposito improvvisamente fulminate e delle difficoltà a recuperare gli articoli al buio e del buio che, si sa, prende i nervi. Questo e tanto altro in un libro che vorrebbe forse solo rispondere alla domanda “perché ho vissuto?”. Domanda a cui è molto difficile rispondere, perché “parliamo, scriviamo, raccontiamo di piccole e grandi cose per cercare di capire, di arrivare a qualcosa, di afferrare l’essenza che però si allontana sempre più come l’arcobaleno.”





Back to Top