Facce d'angelo
Mai giudicare dalle apparenze: storie e aneddoti di visi belli...e bugiardi
di Amedeo Forastiere
Quante facce ci sono? Tante. Spesso ci lasciamo influenzare solo da quello che un volto esprime, senza andare oltre l’apparenza. Di fronte alle persone che hanno una brutta faccia scatta subito un allarme che dice: fai attenzione questo è cattivo, pericoloso, poi spesso non è così. Dopo averlo frequentato, sempre con sospetto, o come si usa dire, stando in campana, scopriamo che il campanello dall’allarme si era sbagliato. La sorpresa è forte, dietro quella faccia cattiva, pericolosa, si nascondeva una persona buona, dolce, che non avrebbe fatto del male nemmeno a una mosca. Di solito sono proprio loro a nascondersi, vergognandosi del proprio aspetto, vivendo spesso nell’ombra, come faceva Cyrano de Bergerac, per la sua bella amata Rossana.
Nel 1745 l’aristocratica francese Jenne-Marìe Leprince de Beaumont scrisse Le belle et la bète (La bella e la bestia). Fu senza dubbio il primo tentativo di sovvertire la concezione che il brutto è cattivo, pericoloso e infame. La scrittrice pensò che la cosa migliore fosse rivolgersi ai bambini con una fiaba. I piccoli sono sempre i più sensibili, e come spesso accade, le fiabe sono lette dai grandi. Ecco allora la storia di una giovane ragazza che guarda oltre le apparenze, s’innamora della bestia e trova l’uomo di buon cuore represso in lui. Certo è una metafora, ma che c’insegna a non giudicare dall’aspetto le persone o a etichettarle: i brutti sono cattivi, i belli sono buoni.
Anche le persone di colore sono viste con sospetto, non a caso si dice ai bambini irrequieti: Fai il bravo sennò chiamo l’uomo nero. Nel 1948 José Pedro Infante, cantante attore messicano scrisse la canzone Angelitos negros, lanciata in Italia come Angeli negri da Don Marino Berreto Junior, ripresa poi da Fausto Leali. Nella canzone c’è un negro che rivolgendosi all’artista che sta dipingendo gli dice: Pittore ti voglio parlare mentre dipingi un altare, io sono un povero negro e di una cosa ti prego. Pur se la vergine è bianca, fammi un angelo nero… (Io non ho mai visto un angelo negro in una chiesa, e voi?)
Delle facce belle, pulite, con i capelli biondi e gli occhi azzurri, ci hanno insegnato ad avere fiducia, perché sono facce d’angelo, le stesse che troviamo dipinte sugli altari.
In questo momento ricordo un mio amico di scuola, frequentavo le medie. Si chiamava Gennarino Quagliarulo, piccoletto di statura, scuro di carnagione, capelli e occhi nerissimi, figlio di uno spazzino, era del quartiere Sanità, e ho detto tutto. Siccome la scuola che frequentavo si trovava in via Foria, abbracciava un’area molto vasta, che prende sia la Sanità sia via Duomo. La prima è un groviglio di vicoli e vicoletti, dove si trovano tutti i mestieri più umili e antichi, e dove il livello di cultura si ferma alla quinta elementare, per molti ancora prima, terza o quarta. In via Duomo abitavano professionisti, musicisti, poeti, un nome per tutti: Libero Bovio. In case bellissime, i bassi non esistevano, in poche parole c’erano ‘e signuri. La madre di Gennarino voleva che il figlio non frequentasse i coetanei sbandati e maleducati del quartiere, e gli ripeteva sempre, come una cantilena: Fattella cù chì ‘e meglio e’ te, e remettece ‘e spese. Traduco: frequenta le persone migliori di te, anche se devi rimetterci le spese.
Nella nostra classe c’era un ragazzo molto perbene, si chiamava Carlo. Il padre avvocato, vecchio borbonico, scelse per il figlio il nome del sovrano più importante del Regno delle due Sicilie. Volle che frequentasse la scuola pubblica, perché, diceva, così avrebbe potuto conoscere la vera vita. Era un ragazzo perbene in tutto, nel parlare, nel vestire, nel pettinarsi, mai una sfumatura stonata.
Gennarino divenne amico di Carlo, con grande soddisfazione della mamma: il ragazzo perbene, la faccia d’angelo della classe, diventava amico del figlio. E invece Gennarino, che non aveva mai marinato la scuola (fatto filone, come si usa dire), da quel momentro iniziò ad assentarsi, andando in giro anziché studiare. Un giorno il bidello, a quei tempi era una personalità di potere e rispetto, beccò nei bagni i due che fumavano una sigaretta (non c’erano ancora le canne). Era stato faccia d’angelo a offrirgliela e il povero Gennarino, che non aveva mai fumato, alla prima boccata aveva cominciato a tossire. Il colpo di tosse risuonò nel silenzio dei corridoi, fece accorrere don Mario il bidello, omone anziano con baffi enormi e molto severo. Naturalmente tutta la colpa fu addebitata al figlio dello spazzino, brutto sporco e cattivo. Carlo, il ragazzo bello pulito perbene con la faccia d’angelo, non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Carlo faccia d’angelo accusò Gennarino dichiarando che fu lui a offrigli la sigaretta. Fu sospeso per una settima e punito severamente dalla madre. Ci rimase molto male, il suo amico lo aveva tradito, dimostrandosi falso, bugiardo e cattivo.
Le cronache degli anni Ottanta furono tutte occupate dalle esibizioni criminose di Felice Maniero, capo della mala del Brenta, battezzato subito dalla stampa, per il suo aspetto pulito, faccia d’angelo. Autore di reati, rapine, assalti a portavalori, colpi in banca e negli uffici postali, accuse di diversi omicidi, traffico di armi e droga. Le donne impazzivano per faccia d’angelo, perché aveva veramente una faccia pulita, tanto che, quando fu catturato, furono in molti a dubbi dare che Felice Maniero fosse veramente il delinquente assassino che aveva consumato tutti quei reati. Qualcuno in televisione disse: non è possibile che una persona con una faccia così pulita e candida possa essere un delinquente.
Un altro mio amico, Filiberto, sposa una giovane donna che gli giura eterno amore. La sposina non è bionda con gli occhi celesti, ma comunque ha un viso delicato angelico, diciamo un angioletto con i capelli neri. Il mio amico si assentò per un bel po’ di tempo a causa di un incidente di percorso, durante il quale la giovane sposina dal viso d’angelo gli scriveva che lo amava e che lo avrebbe aspettato per tutta vita. Andò via, poco prima che Filiberto tornasse, con un altro uomo.
Quando mi ha raccontato la sua storia, precisando la bellezza angelica della sposina mi dice: un angioletto dolce come lo zucchero, però quella faccia d’angelo le servita per ingannarmi.
Alla prossima ragazzi.