Sanita', urge check up di competenze

L'emergenza Covid 19 ha evidenziato le criticità del sistema Stato-Regioni

    di Davide Martino

Le logiche dello spoil sistem all’italiana premiano la fedeltà politica svilendo il merito e la competenza tecnica in ogni settore strategico del paese. Ogni partito e movimento politico con la scusa dell’eccesso di burocrazia di cui è vittima il paese tendono a garantire la copertura dei ruoli apicali inserendo persone di fiducia che hanno il solo merito di “accettare” l’indirizzo politico più congeniale, al di là delle reali esigenze tecnico-scientifiche richieste per la crescita del sistema Italia.

I più noti giuristi dello stivale hanno ribattezzato questo “modus agendi” con il termine (dispregiativo) di spoil sistem all’italiana; di per sé, infatti, la logica della nomina delle figure apicali da parte della politica ha il merito assoluto di coordinare l’indirizzo politico premiato dai cittadini con libere elezioni, con la natura tecnica che devono assumere i dirigenti posti al vertice degli enti interessati. Purtroppo però questa logica è confinata nelle segrete stanze dell’utopia a favore dello stile clientelare che tende a premiare i fedelissimi che, in barba alle conoscenze e ai titoli assunti, sono posti nelle figure chiave dirigenziali perché hanno sposato indistintamente (senza alcuna critica) un indirizzo politico anziché un altro. Per intenderci, recentemente un ex Ministro della Repubblica, di cui è bene non fare il nome (per il solo fatto che ha ripetuto una logica adottata trasversalmente da tutti i politici) ha dichiarato che prima di verificare la bontà dell’operato di un dirigente in campo sanitario doveva “comprendere” la fiducia che questi mostrava alle nuove linee politiche che si apprestavano a governare la nostra amata Italia. Come dire: “Si; hai operato bene, ma se non segui la nostra volontà di cambiamento sarai sacrificato!”

Questa premessa è d’obbligo per capire cosa sta succedendo al sistema sanitario nazionale ai tempi del Coronavirus. Il sistema sanitario è imploso e anche se la gestione dell’emergenza sta, secondo i sondaggisti, accrescendo il consenso popolare del Governo del Premier Conte, parallelamente si avverte come siano inadeguate le strutture sanitarie del paese trasversalmente svilite da decenni di politiche malsane che hanno di fatto premiato solo l’indebita crescita della sanità privata a discapito di quella pubblica, oramai fatiscente.

Il nostro nemico non è l’oscuro virus che attanaglia i cuori, la mente e i polmoni delle migliaia di ammalati di Covid-19, quanto l’inadeguatezza del sistema sanitario locale decisamente inadeguato ad affrontare una tale pandemia. A riprova di ciò il collasso lo ha registrato la regione più ricca della penisola, quella Lombardia fiore all’occhiello della sanità nazionale per le strutture d’avanguardia che deve registrare continui decessi, anche causati dalla mancanza di fondi che consentirebbero ricoveri immediati degli ammalati bisognosi.

Come è successo tutto ciò? Cosa ha causato il depauperamento di un’eccellenza nazionale, vanto anche all’estero di strutture di avanguardia? La risposta è insita nella gestione del settore che ha subito anni di malgoverno regionale esasperato dal male oscuro. Non a caso la regione registra nei soli distretti di Bergamo e Brescia (le provincie più colpite) ben 435 contagi di personale medico determinato dalla mancanza di mascherine, tamponi e in generale materiale sanitario capace di premunire il contagio.

Non di meno possiamo sorridere in Campania, dove lo sceriffo De Luca ha adottato la politica aggressiva del #iorestoacasa per arginare la pericolosa ondata infettiva che avrebbe palesato l’inadeguatezza della struttura sanitaria campana. Oggi il nostro Governatore acquista consensi e si appresta a stravincere la prossima tornata elettorale giocando sull’autorevolezza e mascherando il dramma del servizio sanitario locale che registra ospedali fatiscenti, riduzione di investimenti e di personale a danno della crescita esponenziale del privato.

Diciamolo chiaramente senza troppe remore e senza paura di essere smentiti dai fatti. Il sistema sanitario deve necessariamente tornare a un organizzazione uniforme sul territorio nazionale, poiché il diritto alla salute non cambia se si passa dal Veneto alla Sicilia. In tempi difficili come quelli che saranno ricordati a “marchio” Coronavirus, uno dei grandi insegnamenti ereditati consiste proprio nel presupposto che la piccola Italia non può permettersi differenziazioni di politiche sanitarie a carattere regionale e, poco, importa che nella geografia della “pandemia nazionale” siano state le regioni del nord le più colpite. Il paradosso (anche se è improprio utilizzare questo termine in uno scenario tragico come questo attuale) sta proprio nel fatto che solo le ricche regioni del nord potevano arginare (seppur con immani difficoltà) la guerra invisibile limitando dei danni che sarebbero potuti essere nefasti al meridione.

Il Covid-19 non ha confini e come tale deve essere combattuto, per cui viviamo l’eterno campanilistico conflitto tra regioni in uno scenario che dovrebbe essere attenzionato a livello nazionale e sviluppato in seconda battuta dalle singole componenti territoriali. Lo dice l’evidenza dei fatti, ma soprattutto lo dice la storia della nostra immensa costituzione che seppur soggetta a modifiche e reinterpretazioni riserva (ancora oggi) all’art. 117, II comma lett. q) la esclusiva competenza dello Stato in materia di profilassi internazionale. Ciò significa che al di là di quelle che sono state e saranno le barbare scelte della politica, dovrà essere esclusivamente Roma a dover garantire la medesima tutela alla salute nei casi di emergenza come quella attuale.

Però ci si chiede e di rimando lo facciamo ai nostri governanti, il senso di limitare l’intervento statalista al solo caso eccezionale dovendo concedere la gestione politico-amministrativa del sistema sanitario alle regioni nell’ordinario. Il diritto alla salute è tale oggi e sempre e la sua gestione non può essere differenziata da nord, centro e sud; d’altro canto un Governo centrale con una maggioranza precaria e persone di scarsa esperienza sta riuscendo ad arginare, con il supporto  di uomini di scienza e degli eroici “soldati delle corsie” che abbiamo, il complesso sviluppo del virus ereditato dall’estremo oriente.

Quindi, finita questa vicenda, bisognerà trasferire il servizio allo Stato, o a una guida centrale assicurata da un organo composito Stato - Regioni, ma che parli con una voce sola. E’ questa una proposta da tempo affacciata, che tiene conto anche del fatto che dopo il 1970 alle Regioni sono state assegnate troppe funzioni, che svolgono con notevole affanno. Bisogna stabilire i servizi che hanno quale dimensione ottimale la nazione, e quelli che hanno come dimensione ottimale la Regione. Se ci sono “effetti di traboccamento”, bisogna ridisegnare il perimetro delle competenze. Mi pare naturale, dopo esattamente cinquanta anni di esperienza regionale in Italia, fare un “check up” delle competenze. Dopo tanti anni, compiti che una volta era bene svolgere in periferia vanno assegnati a organi nazionali, e viceversa.





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