Il peso di essere idoli

Quanto i divi del cinema e della musica influenzano le mode, soprattutto tra i giovani

    di Amedeo Forastiere

Durante l’adolescenza tutti abbiamo imitato attori e cantanti, i nostri idoli. Qualcuno ha continuato anche dopo. Volevamo essere come loro, ci identificavamo nei personaggi che interpretavano sullo schermo, nei testi delle canzoni, vedevamo in loro la nostra storia.

Quand’ero piccolo mi appassionavo ai personaggi dei Western. Erano i miei eroi, cercavo sempre di imitarli (per quello che mi era possibile, vivendo nel quartiere di una città totalmente diversa da quelle praterie sconfinate). I film americani erano di grande fascino, i pistoleri a cavallo, gli sceriffi con la stella sul petto, praterie e saloon con ballerine County, pionieri e cercatori d’oro.

I giocattoli che di solito chiedevamo alla befana erano una pistola, la Colt e il cappello da cowboy. Certo non andavamo in giro con la pistola nel cinturone e il cappello in testa, ci vestivamo così nello spazio in cui di solito giocavamo, il terrazzo di casa o qualche volta, quando c’era concesso, il cortile condominale. Cosa ci trasmettevano questi eroi? Coraggio e giustizia.

Per imitarli non andavamo a cavallo, costava troppo. Bastava un semplice muretto, un pizzico di fantasia, e una vecchia coperta arrotolata diventava la sella, il muretto si trasformava magicamente nel nostro destriero. Poi c’erano i personaggi ribelli, malavitosi. I famosi film dei gangster, dove tutto abbondava: sigarette, whisky, kalashnikov e cadaveri che non si contavano. Questi mi influenzavano poco. I cowboy per me restavano i preferiti.

Molti di questi attori furono esempi da imitare, non solo per i ragazzi ma anche per gli adulti (come spesso accade anche oggi).  Per fare colpo sulle donne, l'uomo doveva somigliare a Humphrey Bogart, con tanto di sguardo severo, misterioso e duro. In una mano la sigaretta, nell’altra il bicchiere di whisky. Non è un caso che in quegli anni il consumo di sigarette e alcol si diffuse a macchia d’olio. Poi c’erano i personaggi di casa nostra, quelli dei film sentimentali, dove la storia d’amore spesso era tormentata, sofferta, contrastata, come quella di Giulietta e Romeno. 

Oltre al cinema c’erano gli eroi della musica. Anche questi spesso arrivavano da oltreoceano e ci trasmettevano uno stile di vita totalmente diverso dal nostro. Come la musica della trasgressione, sconosciuta nel nostro paese: il Rock ‘n’ Roll. Poco importava se non capivamo le parole del testo, la lingua che si studiava a scuola era il francese. Noi seguivamo il ritmo, vestivamo, in parte, come il cantante che amavamo, passando rapidamente da una moda all’altra. Prima il ciuffo alla Elvis Presley negli anni cinquanta, per passare poi nei sessanta ai capelli lunghi dei Beatles.

Non tutta la musica era Rock sfrenato, c’erano anche le canzoni sentimentali da ballare stretti stretti (core a core), su cui spesso ci scappava il bacetto a labbra fujita, ovvero quando la ragazza si vergognava, perché magari c’era qualcuno che guardava, si girava di scatto e il bacio se ne fujieva.

Poi arrivarono i film di spionaggio. L’eroe in assoluto fu il personaggio nato dalla penna di Ian Fleming – 007 James Bond, agente segreto al servizio di Sua Maestà. Quello più imitato dai ragazzi degli anni sessanta fu Sean Connery. Naturalmente solo nel vestire, ma c’erano tanti giovani che all’uscita dal cinema dicevano, sognando il proprio futuro: Da grande voglio fare l’agente segreto.

È stato sempre così, poco è cambiato. Gli attori trasmettono ancora fascino sui giovani, anche se il divo elegante di una volta non esiste più. I ragazzi di oggi hanno lo smartphone, seguono musica e film sul tablet, non ballano stretti stretti, non sanno cosa è il bacio a labbra fujito. Un attore o un cantante veste in un certo modo? Tutti suoi fan lo imitano, è stato sempre così. Mostra tatuaggi? Bene, sono subito copiati, come se fosse una moda per sempre. E invece no, passerà, come tutte quelle che l’hanno preceduto.

Personalmente credo che tutti gli artisti, sia del cinema sia della musica, abbiano una grossa responsabilità nei confronti dei loro fan, che li amano e li imitano in tutto, senza distinzione tra ciò che è bene, e ciò che è male. E mi chiedo se in questo eccesso di imitazione (maggiore rispetto ai miei tempi) la colpa sia in parte della famiglia, sempre più assente.

Certo, i nostri genitori erano esagerati. Ricordo un mio compagno di scuola alle medie, Salvatore, che voleva imitare i Beatles, con i capelli lunghi, ma il padre, don Armando il barbiere, diceva di no, che li doveva tagliare, perché altrimenti sembrava una femminuccia. Così una notte prese la macchinetta per la rasatura e gli tagliò tutti i capelli. La mattina il mio amico si svegliò completamente rasato come il soldato Ryan. Per un po’ di giorni non venne a scuola, si vergognava.

Metodi troppo severi, sicuramente. Il caso del figlio del barbiere non fu l’unico, altri padri fecero lo stesso, anche se non erano taglia capelli, ma la tentazione di imitare i nostri idoli era sempre molto forte.

Erano solo mode, che cambiavano quando cambiavano gli idoli. E nel passare a una nuova, di quella passata non restava niente, a volte solo qualche foto in bianco e nero che a distanza di anni guardavamo ridendoci sopra, sempre con la stessa battuta: Ma sono io questo? 

Che i ragazzi di oggi seguano i loro idoli, per carità, va bene, ma spesso esagerano. Quest’anno sul palco di Sanremo, il Tempio della musica, c’era di tutto e di più, sia come look, sia come canzoni. Testi che a mio avviso non dicono niente, banali e senza messaggio, né di protesta né d’amore. Molti hanno puntato sull’immagine trasgressiva. Un giovanissimo cantante con tatuaggio sulle guance: da un lato Pour l’amour, e sull’altro Scusa. Nessuno dei critici ha capito il messaggio che voleva lanciare il giovane cantante, forse solo una nuova moda? Se il proposito era quello non ha avuto successo…per fortuna.

Gli artisti hanno una grossa responsabilità, i messaggi e le mode che lanciano sono destinati a durare per sempre, se i fan si tatuano sulle guance scritte d’amore o di protesta. Il tatuaggio non è paragonabile al ciuffo o al capello lungo, che passata la moda basta un colpo di forbici a cancellare. Il tatuaggio resta.

Le canzoni che lasciano messaggi sono state tante, in questo momento me ne vengono in mente due, da pianeti differenti. Era il 1972. Claudio Baglioni, nel suo LP Questo piccolo grande amore, cantava: Quella magliette fina, tanta stretta al punto che m’immaginavo tutto. E quell’aria da bambina che non glie’ho detto mai, ma io ci andavo matto.

Le fan di Baglioni raccolsero il messaggio della maglietta stretta al punto di far immaginare tutto, accesero non solo il desiderio erotico nei ragazzi ma anche quel sentimento antico, l’amore. Nacquero tanti bambini ma anche tante storie piene di sentimenti, molte durano ancora.

Solo undici anni dopo, Vasco Rossi al suo ultimo Sanremo, era il 3 febbraio del 1983, dal palco dell’Ariston cantò: Voglio una vita spericolata. Voglio una vita maleducata. Voglio una vita esagerata. Voglio una vita come quella dei film. Voglio una vita come Steve McQueen. Voglio una vita, la voglio piena di guai.

Tanti lo imitarono, seguendo il messaggio della vita spericolata, esagerata, maleducata, piena di guai, e di guai ne hanno combinati, tanti.

Il mio vuol’essere solo un suggerimento agli artisti: non esagerate con i vostri messaggi, il vostro look, i vostri tatuaggi. Magari lo fate solo per apparire, ma i vostri fan ci credono, vi amano e vi emulano, rischiando di dare una svolta sbagliata alla loro vita. Non voglio fare il pompiere dopo essere stato un incendiario, anch’io ho seguito i miei idoli, qualche follia l’ho fatta. Durante il periodo da road manager ho visto tante manifestazioni dei fan, alcune belle, altre decisamente preoccupanti.

Alla prossima ragazzi.





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