Storia semiseria del brodo di polpo

La Napoli di una volta. Il calore di quella tazza calda e piccante

    di Amedeo Forastiere

Tazza calda quasi bollente, profumo di mare, il tentacolo ‘a ranfetella, che spunta mentre si beve, 'o ’bror 'e purpo. E’ stato il cibo di strada, di quella Napoli che non c’è più. Quando la povertà era così presente nella quotidianità come uno di famiglia. Le sue origini sono antichissime, probabilmente greche. Però le notizie del suo consumo a Napoli risalgono alla metà del XIV secolo. Giovanni Boccaccio, in una lettera inviata al suo amico Francesco Bardi parla della prelibatezza del brodo di polpo, era il 1339. Anche la grande Matilde Serao, nel suo Il Ventre di Napoli, ne parla: Con due soldi, si compra un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone forte. Questo commercio lo fanno le donne nella strada con un piccolo focolaretto, e una pignatta. Era il 1890.

Il racconto della Serao sembra ormai un’immagine passata e lontana: oggi, infatti, i venditori di brodo di polpo, provvisti dei pentoloni che affollavano i vicoli di Napoli, sono quasi del tutto scomparsi insieme ad altre storiche figure caratteristiche. Scomparso anche per la direttiva europea sull’igiene che lo ha proibito (non ho mai sentito qualcuno che sia morto, sentito male, dopo aver bevuto, ‘o bror’ e purpo). Ero ragazzo, appena sedici anni, già lavoravo al giornale. Non avendo ancora l’auto, la sera alle 23, finito il turno di lavoro, l’ultimo pullman il 122 che mi portava a casa, lo afferravo di corsa. La fermata era in piazza Cavour vicino alla metropolitana. Di fronte un piccolo spazio con delle scale, c’era sempre un vecchietto con berretto alla marinaia, foularino annodato alla gola, tutto intento a bollire nella sua enorme pentola fumante un grosso polpo, vendeva: ‘o bror 'e purpo.

Le sere d’inverno quel profumo di mare che saliva con il fumo dalla grande pentola, mi catturava come la sirena Partenope con i marinai che passavano d’avanti alla sua scogliera. Mi fermavo sempre: quella tazza calda con il pezzetto di polipo, ‘a ranfetella, mi stregava sempre. La strada che mi portava a casa lunga e in salita. Il freddo era pungente, ma quel brodo, caldo, piccante con il peperoncino, mi dava calore, la salita fino a casa diventava una piacevole “passeggiata”.

A distanza di anni devo riconoscere che ero diventato un “brodo di polpo dipendente”. Una dipendenza che ho portato con me per anni. Durante l’estate, quando facevo pesca subacquea, mi capitava di fiocinare un bel polpo. Tornato casa, mia moglie doveva farmi la tazza di brodo, bollente, anche quando c’erano 40 gradi. Il mio amore non diceva mai di no alla mia richiesta. A pesca non vado più; l’età avanza, ma il desiderio di una bella tazza calda fumante, con quel grosso pezzo di polpo, la cerco sempre. Quando mi capita un ristorante tipico vicino al mare, insisto e trovo spesso qualche cameriere che si commuove di fronte alla richiesta particolare di un nostalgico anziano, e mi porta la tazza do bror 'e purpo, ma non è mai la stessa del vecchietto a piazza Cavour.

La mia voglia scanzonata di essere sempre un ragazzo che vuole scherzare non mi ha mai abbandonato. Poco tempo fa mi trovavo a Roma, viale Mazzini, zona Rai di fronte al teatro Delle Vittorie, allo storico caffè Vanni, frequentato spesso da persone dello spettacolo. Ogni volta che mi trovo nella capitale mi fermo in questo caffè per parlare con la mia carissima amica Stefania, bella donna napoletana di classe, consumando sempre qualcosa di caldo.

Locale molto raffinato, il cameriere elegante in frac. Lo guardo e in lui vedo un soggetto dei film di Agatha Christie, il maggiordomo delle mobili case inglesi, dall’aspetto misterioso e inquietante. Alto, leggermente stempiato, capelli neri con lunghe basette, è proprio lui il personaggio dei gialli  della scrittrice inglese. Dopo aver preso l’ordinato da Stefania; da vero gentleman, prima le donne. Si rivolge a me, domanda cosa deve servirmi. Con espressione seria, supportata anche dal mio look: giacca scura e cravatta a fasce, ordino. “Gradirei, ma deve essere calda, molto, quasi bollente, una tazza di brodo di polpo”. Il cameriere mi guarda senza batter ciglio, con espressione sempre seria risponde. “Prego signore?” Capisco che il soggetto è quello giusto per giocare, così rincaro. “Vorrei una tazza molto calda di brodo di polpo”. L’uomo in frac mi guarda, si china leggermente verso di me e dice. “Signore, mi perdoni, ma temo di non aver compreso. Cosa devo servirle?” La mia amica Stefania; con la mano nasconde la risatina che inevitabilmente le scappa. Mi conosce bene, sa che sto scherzando con il maggiordomo di Agatha Christie. Sottovoce mi dice, mentre l’uomo in frac aspetta cosa ordino: La vuoi smettere? “Lo perdoni” rivolgendosi al cameriere, diritto, basito aspetta che io gli ordini qualcosa  di comprensibile. “Il mio amico scherza sempre, un tè caldo anche per lui, grazie”.

Il gran caffè Vanni, frequentato da personaggi famosi, artisti e intellettuali, se organizzasse un bel pentolone, con dentro un grosso polpo, fumante, da invadere tutta Viale Mazzini con il suo profumo di mare, beh, credo che l’uomo in frac di Agata Christie sicuramente accoglierebbe con un sorriso il cliente che ordina: Na’ tazza e bror’ e purpo.    





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