Dolomiti e stalattiti

    di Max De Francesco

Ritorna sulle montagne Antonio Bassolino. Lo fa con un libro dal titolo «Le Dolomiti di Napoli», un «viaggio dentro se stesso», tenendo fede al copione dei regnanti decaduti, che si danno alla scrittura interiore pur di uscire dal lebbrosario della politica, e al protocollo del «rattopardo», specie di animale politico che trascorre i giorni a rodersi di rabbia e a praticare l’arte della rimozione. Un’arte che lo scalatore di Afragola esercita con persistente ipocrisia. Dell’opera hanno già parlato i media, forse fin troppo, perdendosi in sfumature di gossip e nei giudizi che l’autore dà sull’attuale bestiario politico-istituzionale (gli «occhi spiritati» di de Magistris tengono banco). Sulle pagine disastrose scritte, invece, dal bassolinismo non ci si sofferma mai abbastanza, quasi come se appartenessero a un libro sepolto nella biblioteca delle impunità. Ogni volta che l’ex governatore appare, siamo chiamati a farlo scendere dai monti dove le caprette ti fanno ciao e l’aria è buona, e riportarlo sulla terra, dove il respiro ormai è un privilegio, il senso civico è a intermittenza, la sanità è un buco e le pecore non ti fanno neanche ciao prima di crepare, avvelenate dai rifiuti, come testimoniò anni fa l’agghiacciante docufilm «Biutiful Cauntri». L’ossessione per le alture è una costante nella vita di Bassolino. La sua parabola d’arrampicatore comincia e finisce con una montagna. La stagione del rinascimento napoletano fu inaugurata con La montagna di sale di Mimmo Palladino. Quel monte salino carico di cavalli conquistò piazza del Plebiscito inaugurando il trip dell'arte contemporanea. Un trip che divenne banchetto senza fine. L'allora sindaco, con pecunia pubblica, aumentò i posti a tavola, allungò il menù degli eventi e creò la «festilenza» istituzionale che proseguì in Regione, con più disponibilità di cassa e più creatività nelle consulenze.

Sterminata è la letteratura dello sperpero proveniente dalla Straregione del ex governatore. Qualche cifra «dolomitica» per chi non svetta in memoria: si va dai 962.506 euro e 26 centesimi nel 2004 bruciati per le sole “spese di rappresentanza del presidente della giunta regionale” ai 700 consulenti chiamati nel 2008 per un costo di 30 milioni di euro; dai 5 milioni di euro spesi negli spot promozionali per il rilancio del turismo in cui compare la Piscina Mirabilis, opera grandiosa d’ingegneria romana, oggi praticamente inaccessibile ai turisti, agli 11 milioni elargiti, dall’ottobre 2008 all’agosto 2009, a Città della Scienza, ieri luogo cult dell’era bassoliniana, oggi ridotta a cenere non si sa ancora da chi. Ma gli anni dello scialo a gogò sono stati quelli tra il 2000 e il 2005. In quel tempo, con una media annua da far invidia a una holding finanziaria, l’«uomo dei monti» fece nascere o acquisì quote di ben 6 società all’anno, la cui sola fase iniziale costò alle casse regionali ben 116 milioni di euro di cui 73 milioni solo per la partecipazione al capitale. Società che, nel solo biennio 2004-2005, produssero perdite d’esercizio per 43milioni di euro, rispetto ad appena 7 milioni di euro di utile.

Tra il 2000 e il 2005, la sanità campana produsse un «Himalaya» di debiti per 7 miliardi e 623milioni di euro e nel 2003 la giunta regionale stanziò 500 mila euro per creare la Soresa (Società regionale per la gestione del debito sanitario) che, però, divenne operativa solo nel 2005, quando la giunta mise sul piatto un altro milione per il suo funzionamento. Un ritardo che, conti alla mano, fece lievitare il debito sanitario di altri 150 milioni di euro per onorari, spese legali e interessi di mora per i pignoramenti richiesti dai fornitori. Come commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Campania, Bassolino aumentò gli emolumenti riconosciuti ai dirigenti del commissariato, ed inseriti sotto la voce “spese generali”, dai 250mila euro del 2000 a un milione e 140 mila euro del 2003.

Ci fermiamo qui, ma avremmo ancora una quantità tale di esempi di gestione scellerata del denaro pubblico da provocare persino una rivolta di bradipi. Questo è stato Bassolino. Questi numeri, che in tempi di sacche vuote suonano ancora più drammatici, sono la sua eredità. Numeri che non svettano verso l’alto, ma inevitabilmente mirano al basso, pendono sulle nostre teste come stalattiti che il tempo forma, deposita, deforma e non sa più smaltire. L'apocalisse rifiuti è la riprova che il mai avvenuto smaltimento delle emergenze ha generato flagelli e un'installazione contemporanea e non temporanea: La montagna che sale di Antonio Bassolino. Una montagna di monnezza di cinque milioni e più di «ecoballe» che occuperebbero dieci piazze del Plebiscito, con costi da guinness (un esempio sono i 9 milioni di parcelle sganciate ad esperti in 6 anni) e putrefazione in corso, simbolo internazionale della strategia del bidone. Tutto ciò che rimuovi non si smaltisce per incanto, ma il «rattopardo delle Dolomiti» predilige ancora l’arte della rimozione. Noi quella della memoria.





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