L'antico mestiere del muzzunaro

Quando a Napoli raccogliere cicche era la professione degli emarginati

    di Amedeo Forastiere

In questi giorni di forzata chiusura in casa, c’è chi la chiama clausura, e chi arresti domiciliari, il fatto è che non siamo abituati a stare tante ore senza uscire. Soprattutto i giovani, quelli che sentivano i genitori dire: questa casa non è un albergo. C’inventiamo mille cose per passare il tempo. C’è chi riscopre la passione per la lettura, chi rispolvera il vecchio diario di  quando era al liceo, chi si ricorda che da ragazzo strimpellava la chitarra intrattenendo gli amici sul muretto e se le note prendono un’altra strada, ma chi se ne frega, bisogna ammazzare le ore di  queste giornate che non passano mai.

Chi il tempo lo passa sul divano d’avanti al televisore. Ieri facendo zapping mi fermo su un canale sconosciuto. Un film americano del 2000. Attori giovani, dell’America ricca, macchinoni, insomma ragazzi che se la passavano bene, senza problemi. La cosa che ho notato, accendendo la mia curiosità, è stata quando uno di questi ragazzi seduto con altri amici al tavolino di un bar, estrae dalla tasca della giacca una busta di tabacco. Niente di strano, certo, lo fanno tanti anche da noi, che male c’è? Il farsi la sigaretta da sé mi ha riportato indietro nel tempo, quando c’erano i muzzunari. Non si trattava di una setta di samurai. Era il mestiere più basso che c’era; tant’è che il termine era ed è tuttora utilizzato come sinonimo di pezzente, morto di fame o di bestemmia: nun fa' 'a fine do’ muzzunare.

Guardo il film che ormai non m’interessa più, perché la mia mente va indietro nel tempo, quando nella Napoli ancora tutta sgarrupata del dopo guerra si aggiravano vecchietti, sporchi e malandati che raccoglievano le cicche. Con i miei amici spesso giocavamo a nascondino tra le rovine di palazzi sventrati dalle bombe. Spesso ritornando a casa, incontravo un omino, tutto sporco, con una giacca grande che aveva tutte le tonalità del grigio della miseria. Raccoglieva le cicche,  “lavorava” nella zona del Museo, via Pessina, piazza Dante, a volte si allungava fino a via Roma. Curvo, con le tasche della giacca sempre gonfie di cicche. Non so come si chiamasse, non l’ho mai sentito chiamare per nome. Qualche negoziante lo chiamava nonnino quando lo invitava nel suo negozio per svuotare il posacenere. C’erano tante cicche, quelle generose, lunghe e sostanziose erano sempre con l’impronta di rossetto. Il vecchietto ringraziava con inchino,  svuotando tutto il posacenere nelle tasche della giacca.

Girando l’angolo tra via Pessina con via Broggia, vidi il vecchietto davanti a me, curvo, piegato per raccogliere i mozziconi. Non lo avevo mai visto così da vicino. Ero convito che raccogliesse le cicche per estrarre quel poco tabacco e fumarlo avvolto in una cartina; non avendo soldi per le sigarette normali, rappresentava l’unica soluzione per fare una fumata. A Porta Capuana, nello spazio della Pretura, una volta c’era lo stazionamento dei tram. La domenica era molto movimentata con tanti ambulanti che vendevano le cose più strane, era il mercatino delle pulci. Una volta andai con un amico e ci aggiravamo tra le tante bancarelle, cercando qualcosa di particolare. Nello spazio grande dei marciapiedi, notai sulla destra dei vecchietti seduti a terra con dei fogli di giornali davanti, sopra c’erano mucchietti di tabacco: biondo e mulatto. Il primo era quello meno consumato, l’altro tutto nero, tirato fino l’ultima boccata. C’era anche il prezzo, il biondo costava qualcosa in più.

Tanti vecchietti ridotti mali compravano quel tabacco, per farsi 'o spiniello. Tra i “tabaccai” improvvisati del biondo e mulatto, c’era il vecchietto che conoscevo; le cicche raccolte per strada non servivano a lui, ma per il suo commercio. Farsi le sigarette da soli con tabacco sfuso era una cosa vergognosa, spesso chi lo faceva per strada si nascondeva dietro il portone di qualche palazzo. Chissà cosa avrebbe detto oggi il raccoglitore di cicche se avesse visto questo film con questi ragazzi ricchi americani. Che oggi farsi la sigaretta da sé, nello stesso modo di una volta, un poco di tabacco avvolto in una cartina e chiuso con la passata della lingua umida, è diventato una moda elegante?

Ricordo che un giorno tornando a casa, incrocio il muzzunaro. Notai che non si curvava per raccogliere mozziconi, ma lì prendeva con un sottile bastone dove all’estremità aveva legato uno spillo, infilzava le cicche senza piegarsi; soluzione ingegnosa contro l’artrosi. All’angolo di via Costantinopoli un signore elegante con doppio petto grigio a righe, Borsalino e guanti di camoscio, oltre l’eleganza, aveva classe e signorilità. Vedendo il vecchietto che infilzava le cicche, ebbe compassione, scambiandolo per un mendicante, uno dei tanti che s’incontrava all’angolo di strada. Mise una mano in tasca e tirò fuori una banconota, non saprei dire di che taglio. Allungò la mano verso il vecchio, come elemosina. Ringraziò il signore generoso con un cenno della testa e rifiutò, con aria offesa, come se avesse voluto dire: Io non chiedo l’elemosina, ma che hai capito,  ho il mio mestiere. Io faccio  o’ Muzzunaro.





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