Insulti sui social, Cassazione in campo

Commenti offensivi su facebook: la nuova sentenza che fa discutere

    di Adelaide Caravaglios

Ci risiamo: ancora una volta la Suprema Corte è costretta ad intervenire per condannare chi si lascia andare a commenti non proprio edificanti, postandoli sulla bacheca “facebook”. È quanto si apprende leggendo la sentenza n. 19359/2021, nella quale i giudici della V sezione penale hanno definitivamente condannato un imputato per il reato di diffamazione aggravata dall’uso di strumenti informatici. Teatro dell’accaduto, Facebook, dove comunicando con più persone, il ricorrente aveva prima apostrofato – si legge – «come “fr…o” e “schifoso”» un’altra persona, per poi difendersi − per il tramite del suo legale – contestando il carattere diffamatorio delle espressioni utilizzate, le quali avrebbero dovuto perdere «“per l’evoluzione” della coscienza sociale, il carattere dispregiativo, attribuito dal giudicante».

Di tutt’altro avviso sono stati i giudici di legittimità, secondo i quali tale affermazione doveva considerarsi «destituita di ogni fondamento»: nessuna presunta “evoluzione” della coscienza sociale, richiamata a discolpa, ma una «chiara lesione dell’identità personale». Le suddette espressioni, spiegano infatti sul punto, «sono percepite dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana» come profondamente lesive, «veicolo di avvilimento dell’altrui personalità» e ciò sarebbe dimostrato anche «dalle liti furibonde innescate – in ogni dove – dall’attribuzione delle qualità sottese alle espressioni di cui si discute e dal fatto che, nella prassi, molti ricorrono – per recare offesa alla persona – proprio ai termini utilizzati dall’imputato». Altra questione: l’uso di un mezzo di comunicazione, come Facebook, il quale è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di individui. Di qui la conferma che si era in presenza di un’ipotesi aggravata, «trattandosi di comunicazione avvenuta con un social di ampia diffusione».

Per questi motivi, hanno dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. …Sarà che la coscienza sociale, come vociato da più parti, si sta evolvendo, ma – a quanto pare – alcune “tradizioni verbali”, se così le vogliamo etichettare, sono dure a morire.





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