Restauri da incubo

Quando gli originali ti catapultano dritto nel passato ma i "lifting" non meritano

    di Amedeo Forastiere

La settimana scorsa sono stato preso da una botta di nostalgia per l’arte. La amo in tutte le sue espressioni, ma in particolar modo la pittura e la scultura. Nella nostra città siamo circondati da opere d’arte di grande valore. Nelle pinacoteche dei tanti musei sono raccolte numerose opere di grandi maestri del passato, che hanno fatto la scuola della pittura. Mi sono introdotto in uno di questi musei entrando, senza volerlo, dall’uscita. Con mia sorpresa nessuno mi ha fermato, in poche parole sono entrato senza pagare il ticket.

Confesso, non amo molto certe forme d’arte, in particolar modo le espressioni astratte, nelle quali i tanti critici cercano e danno una lettura confusamente comprensibile anche al più attento amante dell’arte, accendendo numerosi dubbi. Per fortuna la gran parte delle opere custodite nei musei, appartiene al periodo che va dal cinquecento, ottocento, fino al novecento.

Girando per i lunghi corridoi eleganti con pareti tappezzate sia in seta sia in raso, mi perdo tra le tante meraviglie. Cerco di fare un tuffo nel passato e vivere il tempo che fu della realizzazione dei dipinti. Ci sono quadri che raffigurano persone – sembrano uscire dalla tela. Mi guardo intorno e vedo che sono solo, nemmeno l’addetto alla sorveglianza, solo io e i dipinti. Un ritratto d’uomo molto vecchio con lunga barba bianca, di Annibale Carracci (1560/1609). Lo guardo, è impressionante, sembra che il suo volto esca dalla tela e voglia parlare con me. Ho un attimo di esitazione, sento una voce lontana che mi chiama: saluto a lei messere! Un sobbalzo misterioso mi scuote, cerco da qualche parte un cono altoparlante dal quale sia potuta uscire quella voce così lontana e misteriosa.

Niente, è stata solo la suggestione che mi ha trasmesso il vecchio con barba di Annibale Carracci. La bellezza è l’arte che solo i grandi artisti riescono a trasmettere, trasformando in vero tutto quello che dipingono. Per essere un vero artista non basta amare la pittura e saper impugnare un pennello, ci vuole mistero, come Carracci e altri artisti del passato e qualcun'altro del presente. Il mistero rende vivo il soggetto dipinto sulla tela, è quella voce che senti in lontananza. Ormai sono nel '500, non vivo più il presente. Travolto da una pittura così reale. I personaggi raffigurati sembrano persone che conosco; ormai sono uno di loro. Mi abbandono a quel viaggio lontano fatto di un passato tanto misterioso e buio – sarà forse lo sfondo dei quadri, tutto scuro?

Una grande tela raffigura un mercato di campagna, non è Guttuso, ma un suo collega di molti anni prima: Joachim Beuckelaer, datato 1566. Una tela enorme, che data la sua dimensione mi rapisce portandomi dentro quel mercato. Sento i venditori che esaltano la qualità della loro merce ad alta voce per attirare i clienti; come ancora oggi si fa in certi mercatini rionali. Passo in rassegna l'offerta: fagiani, capponi, conigli, pane, limoni, arance, guardo le donne che palpeggiano le mercanzie, sento gli odori e i profumi che si respirano nel mercatino di campagna. Mi sono del tutto abbandono al gioco del viaggio nel passato, quando a un tratto squilla il telefonino, quasi non riconosco quel piccolo oggetto nero che s’illumina suonando una musica strana. Non rispondo, ci sono troppi anni che mi dividono dal mercatino al piccolo oggetto nero che continua a "cantare". 

Proseguo nel lungo corridoio al primo piano del museo. Vengo attratto da tele restaurate, mi perdo, ritorno al presente. I colori usati per il restauro non sono quelli dell'antichità, ricavavati direttamente dai pittori dal mondo animale, vegetale, minerale. Allora, soltanto eccezionalmente si ricorreva a colori artificiali, ottenuti mediante rudimentali trasformazioni chimiche. I colori vegetali si trovavano in natura estraendo le sostanze coloranti da alcune parti delle piante: querciolo, noci, zafferano, noccioli di pesca. I colori animali si ottenevano dagli organi o dalle ossa per spremitura, essiccatura, macinazione o bruciatura.

C’è una tela in particolare che mi prende, ma con disgusto. Mi avvicino quanto più possibile, rispettando rigorosamente il cordone che divide i visitatori dai quadri. C’è qualcosa che non vi convince in quel dipinto. Raffigura una marina, con barche, pescatori. Non avverto il sapore; il profumo e l’odore del passato non mi arrivano. Il restauro è stato fatto con colori accesi e chimici, quelli che si usano oggi, non hanno nulla in comune con il passato.

Arrabbiato e indignato, proseguo il viaggio tra i quadri di quel passato, che si allontana sempre di più. Mi sento come se fossi nella zona franca, quella striscia di terra che divide una nazione dall’altra e non appartiene a nessun paese. Proprio così, quei quadri, sento che non appartengono a nessuna epoca, e il restauro, frettoloso, sommario e senza rispetto per l’arte, ha cancellato tutto quello che un pittore del cinquecento, magari poco conosciuto, ma con certosina maestria realizzò, sicuramente impastando i colori da sé.

Accelero il passo, spinto da una forza che vuole portarmi fuori da quella violenza. Passo davanti alla tela che raffigura una donna bionda, non più tanto giovane ma elegante, sinuosa, delicata, nonostante la sua età, leggo il cartellino: Lucrezia, Anonimo 1540. Sento di nuovo una voce da lontano che mi chiama: Messere, mi aiuti la prego. Mi giro su me stesso come una trottola, per capire da dove arriva quell’implorante lamento. È la donna bionda del quadro anonimo. Mi avvicino e scopro che è stato oggetto di un restauro. La donna bionda ha sul viso un marcato colore rosso acceso, le labbra sono gonfie. Risento la voce singhiozzante: Messere, cosa mi hanno fatto, non ero così quando il maestro mi ha ritratto. Ero una bella donna di età matura ma delicata, il mio viso era di colore roseo pesca vellutata, tutti gli uomini al mio passar mi salutavano con rispetto chiamandomi madonna. Adesso, in questo restauro che mi ha ringiovanita di molti anni, non ritrovo più me stessa. Sono diventata, come dite voi oggi, messere: una giovane donna volgare, di facili costumi? Mi dica messere, è questo il restauro?

Chi impugnò il pennello per ritrarre l’immagine della donna bionda, mai avrebbe pensato che un giorno il suo dipinto, un vero capolavoro, dopo oltre cinquecento anni sarebbe stato umiliato. Andava sì ripulita la tela dalla polvere, dall'umidità e da tutto ciò che portano i visitatori nei loro vestiti impregnati dallo smog, che inevitabilmente si deposita sui dipinti, ma con rispetto.

Nel mio immaginario cerco ancora la donna bionda del cinquecento. Vorrei darle una risposta, a bassa voce per non essere preso per un matto che parla con i quadri, sussurrando le direi: Madonna, quello che le hanno fatto, ringiovanendola di molti anni, non si chiama restauro, ma volgare lifting.

Alla prossima ragazzi.





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