Rivoluzione poetica tra le Vele

Intervista a Emanuele Cerullo, il giovane e promettente poeta partenopeo

    di Maria Neve Iervolino

In queste settimane si è assistito al grande fermento intorno a un emergente autore napoletano: Emanuele Cerullo nato nel 1993 si è fatto notare per la forza dei temi presenti nella sua raccolta poetica “Il ventre di Scampia” edito da Neomedia Italia nella collana Poesia d’autore. Attualmente il volume è presente nella sezione varia della classifica top 5 libri di Repubblica Napoli. Facendo tesoro della propria esperienza invita i giovani ad “essere cacciatori, investigatori, dobbiamo indagare moltissimo, verificare la credibilità dell’editore a cui dobbiamo sottoporre la nostra fatica”, e sfida tutti a riscoprire “il senso della rivoluzione, perché altrimenti “non pensiamo più”.

Di seguito l’intervista al giovane e promettente poeta.

 

Con “Il ventre di Scampia” quale messaggio hai voluto trasmettere?

La tematica centrale è l’alienazione sociale in periferia: questa raccolta è il viaggio di un giovane che ha vissuto il disagio sociale, l’emarginazione, tutto ciò che risiede nella periferia. La Scampia presente nei miei versi è semplicemente il sinonimo della marginalità delle cose. Questo viaggio, quindi, parte dalla marginalità delle cose e si propone di giungere alla destinazione rappresentata dalla natura delle cose. Dalla periferia al centro dell’anima. Il viaggio riprenderà nel prossimo libro. Questa raccolta rappresenta il primo libro di una trilogia lirica a cui sto lavorando.

 

Sei iscritto al corso di Lettere Moderne della Federico II, quanto il tuo percorso universitario ha contribuito a formare la tua identità poetica?

L’identità poetica sarà sempre tormentata perché la poesia è una ricerca continua; l'influenza degli studi umanistici sarà più evidente nella prossima raccolta. Ne “Il ventre di Scampia” ci sono ancora le tracce di tendenze studiate prima di intraprendere il percorso universitario

 

Non hai paura di restare intrappolato nell'immagine del "poeta di Scampia"?

Una docente di letteratura dell’ateneo federiciano, Daniela De Liso, ha affermato che è limitante parlare di me come del “poeta di Scampia” e mi trovo d'accordo con lei. Non provo paura, è un’etichetta e, in quanto tale, andrebbe accolta con prudenza. Sicuramente non ho alcuna intenzione di scrivere libri su Scampia per tutta la mia vita. Sarei ripetitivo, ossessivo, il pubblico si stancherebbe e in tal caso non dovrei lamentarmi. Del resto non scrivo per me, se così fosse non pubblicherei nulla. E in ogni caso non amo la monotonia.    

 

Data la tua esperienza,  in questo momento di crisi della poesia e dell'editoria in generale in che modo è possibile per i giovani emergere?

Dovremmo avere un’idea ben chiara del panorama editoriale locale, capire se quell’editore può davvero prendersi cura della nostra creatura, dovremmo confrontarci con autori che hanno già avuto diverse esperienze, invece di entusiasmarci troppo per la stesura appena terminata. Inoltre credo che si sopravvaluti la funzione del concorso letterario. La casa editrice vuole leggere quello che hai scritto, ciò che hai fatto è secondario, ecco perché non esiste un “curriculum” per gli autori.

 

A cosa pensi sia dovuta la crisi della cultura?

I mezzi erano tanti e le opportunità non mancavano; oggi i mezzi sono troppi e si assiste all’aborto dell’opportunità che si annulla nel momento in cui sembra manifestarsi. Non vorrei essere catastrofico, ma sono nato nel ’93, subito dopo Tangentopoli, penso che la mia generazione non abbia mai conosciuto la vera rivoluzione e me ne dispiace: la nostra non è l’epoca di maggioranze e opposizioni, del pensiero dominante e del pensiero resistente, del fascio da una parte e della falce e il martello dall’altra e se questi esistono sono solo ridicoli fanatismi: siamo troppo internettuali per schierarci davvero. Si continua ad osannare il simbolo, l’icona, nel frattempo si nasconde la purezza, lo stimolo alla creatività. Ormai ci stanno rendendo degli automi, degli individui ridotti al sostegno del preconfezionato.

 

E per quanto riguarda la crisi dell’attività editoriale?

Per quanto riguarda l’editoria, io dico che l’editoria a pagamento andrebbe annientata perché chiedere a un autore di pagare per pubblicare è da falliti: un editore è un imprenditore e quindi dovrebbe investire sul talento di un autore e sul prodotto. Per fare ripartire l’editoria cerchiamo di pubblicare la letteratura, non l’attualità. Tremate, tremate: arriverà il giorno in cui sarò nelle librerie con un esercito di coetanei armati fino ai denti e pronti a sparare parole causando una grande strage di coscienze, un coscienzicidio.

 

Oltre al verso c'è della prosa nel tuo futuro?

Assolutamente sì. Voglio provare ad esprimermi anche in prosa. Negli ultimi anni ho scritto qualche racconto, ma agisco con molta cautela… passare dalla poesia alla prosa non è affatto facile. Ci sto lavorando!





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