La paura fa 90
Il senso del terrore nell'ultimo numero della Cabala napoletana
di Amedeo Forastiere
La paura fa 90 nella tombola. Il gioco con i numeri tutto napoletano (meglio dire del Regno delle due Sicilie) è figlio in realtà di un altro gioco, il lotto, nato in Liguria, pare, nel 1620, ed estesosi poi in tutta la penisola agli inizi del Settecento. Le origini della tombola risalgono a circa trecento anni fa, nel 1734, in seguito allo storico litigio tra il Re di Napoli, Carlo III di Borbone, e il frate domenicano Gregorio Maria Rocco.
Durante il regno dei Borbone, infatti, soprattutto a Napoli, il gioco del lotto era particolarmente diffuso. Il re voleva renderlo legale per incassare così i tanti soldi spesi dal popolo per le giocate. Il frate, invece, si opponeva dicendo che la legalizzazione del gioco avrebbe allontanato ancor di più i fedeli dalla preghiera. Alla fine della disputa il re ebbe la meglio, tuttavia concordò con il frate che il gioco sarebbe stato sospeso durante le festività natalizie.
I napoletani e tutti gli abitanti del regno, non essendo disposti a rinunciare a quel divertimento, continuarono a giocare durante le feste, ma in famiglia. Lo fecero mettendo i novanta numeri del gioco del lotto in un piccolo paniere e facendolo roteare o capitombolare. Nacque così la tombola. Secondo alcuni il nome fu preso dal movimento del paniere che conteneva i numeri, secondo altri verrebbe dalla parola “tumulo”, vista la forma del contenitore. Furono poi inventate le cartelle con i numeri disegnati per tenere conto delle estrazioni.
La fantasia dei napoletani, si sa, è storica, ma quando si divertono nascono delle vere e proprie genialità. Si pensò, per rallegrare la tombolata di Natale, di attribuire a ogni numero un simbolo. Ecco allora la famosa Smorfia, che deriva, pare, da Morfeo, il dio greco dei sogni. A ogni sogno si attribuiva un numero con relativo significato, da giocare poi al lotto. Nella tombola i numeri estratti dal paniere erano chiamati con il simbolo attribuitogli, ad esempio: ‘o ubriaco - 14. ‘A fortuna - 13. ‘A risata - 19, ‘o pate de creature (il pene) - 29, ‘a paura - 90. E cosi via.
Non voglio raccontarvi tutta la storia del gioco del lotto né quella della tombola, ma parlarvi della paura simboleggiata, nella tombola, dall’ultimo numero, il 90. Tutti, umani e animali trovandosi in situazioni di pericolo, la avvertono. Lottiamo contro qualcosa, una malattia infame per esempio, e aggrappandoci a una qualsiasi speranza - che sia la medicina, la fede o la magia - tremiamo di paura. Credo che legare questo sentimento all’ultimo numero della Cabala abbia un forte senso simbolico: va inteso come chiusura del percorso di vita, quando alla fine troviamo la morte... Il novanta è paura, la morte. Come dicevo, anche gli animali provano questo sentimento, spesso aggrediscono l’uomo perché sanno che potrebbe ucciderli, e loro non vogliono morire, proprio come noi umani, temono.
Giorni fa guardavo in televisione un documentario, uno dei tanti sulla savana. Una madre gazzella scappa con il suo cucciolo inseguita da un leone affamato. Lei è veloce ma il cuccioletto non è ancora bravo, non ce la fa a starle dietro. È una paura doppia quella sentita da madre gazzella, che deve salvare lei, ma anche il suo piccolo, preda facile per il leone veloce. Avverte che l’unica soluzione è sacrificarsi, andando incontro alla morte, dandosi in pasto al leone, sconfiggendo la paura. Il piccolo scappa, è salvo, ma trema di paura.
Non credo esistano persone che non hanno paura. Perfino gli eroi, i più coraggiosi, secondo me, nei momenti estremi se la fanno sotto. Ovvio però che non lo dicono. Nicola, un amico con il quale praticavo pesca subacquea, mi raccontò tempo fa: «Ero a Procida per delle immersioni. Fine estate, quando tutto è tranquillo, i vacanzieri sono tornati a casa, e per noi appassionati del mare e delle sue profondità è una goduria. Come tu sai è il periodo migliore per la pesca, con fucile pinne e occhiali - come diceva una vecchia canzone - m’immergo.
Ero sotto il ponte che unisce Procida con l’isolotto di Vivara, una ventina di metri di acqua limpidissima. Vidi un bel sarago, la misura giusta per la brace. Lo punto, lui mi scopre e scappa, io dietro che non lo perdo un attimo, voglio essere sicuro di prenderlo con un solo colpo. Sai bene che se lo sbagli il secondo è inutile, e addio alla braciata di sarago.
Il saragotto corre impazzito con movimento da slalom, in cerca di una tana, un buco dove nascondersi per non essere preso. Non vuole morire, la pura (90) lo fa correre veloce, io fatico a stargli dietro.
Scappa in profondità, ma in quel punto non ci sono scogli, solo sabbia, la paura di non farcela, di morire è forte. Mi avvicino e noto gli occhi spalancati, sembra un umano pazzo. Rallento la pinnata per dargli un po’ di respiro. Prende la direzione di Vivara, dove c’è tanta vegetazione che nasconde insenature con piccole tane.
La disperata paura di non farcela mi commuove, la sua vita dipende da me. Così decido di lasciar stare il sarago alla brace, è meglio una bella insalata per cena, ruchetta, un pizzico di sale, mezzo limone spremuto, quattro noci, scaglie di parmigiano, un filo d’olio extravergine. Il saragotto s’infila in una tana tra i cespugli della fauna, è salvo, ha sconfitto la paura (90)».
Alla prossima.