Continenti a confronto

Al Teatro Stabile di Napoli, applausi per Lostland di Mauro Gioia

    di Maria Regina De Luca

Col suo ritorno sui palcoscenici del Teatro Stabile di Napoli in lavori diffusi dal Festival Teatro Italia in tournée internazionali, Mauro Gioia esprime ancora una volta la sua matura personalità artistica in Lostland, narrazione della quale è sceneggiatore, regista, interprete e compositore. Ma lost significa anche ‘confuso’ e induce a pensare che il titolo andrebbe meglio al plurale, Lostlands perché, nello svolgersi del filo conduttore dello spettacolo, non si sa quale delle due land sia più da conquistare o da riconquistare, quella della partenza o quella dell’approdo, poste a confronto attraverso un ponte ideale, leggero e arioso come quello che, sospeso sul Bosforo, lega tra loro due continenti.

Ponti su abissi azzurri di mare e di oceano colmi di possibilità irrealizzate, di sogni a occhi chiusi, di possibili e non tentati riscatti, di illusioni disperse e di tutte le tentate felicità. Le esperienze vissute nella land di ieri sono quelle che dirigono i passi del viaggiatore verso nuove contrade. Che l’ambientazione sia Woodstock o quella della comunità italoamericana di Brooklyn la dice lunga sulla duttilità allegorica dell’autore, perché la scena americana non è meno simbolica di quella di qua dall’oceano, una terra e una città con i suoi punti-chiave, i suoi punti-luce e d’ombra tra i quali, immutabile nella memoria e nella letteratura musicale e poetica che ha inondato il mondo è il vecchio Molo dell’Immacolatella.

Qui, cent’anni fa, un popolo in partenza verso una terra sconosciuta ha, senza saperlo, innestato sui bastimenti, tra le lacrime, il gran pavese  della speranza  lasciandosi alle spalle le bandiere bianche della resa. A quel molo, a quella costa, a quella terra lasciata, ma non perduta, l’artista aggancia le sue àncore perché tutto quanto accadrà nella nuova patria finalmente raggiunta abbia un senso. Senza questa funivia costantemente tesa tra l’Immacolatella della riscossa e la Statua della Libertà della lenta e faticosa conquista, lo spettacolo perderebbe il suo tessuto polisemantico. Per non smarrirsi nel nuovo mondo insieme alla voce, l’autore  riconquista se stesso immergendosi nel presente-futuro della terra d’arrivo e sfronda nell’acqua lustrale delle canzoni ‘perdute’  il vecchio battesimo dalle scorie d’insicurezza o di nostalgia. 

Chi conserva, come me, il ricordo delle squisite operine dei giovanissimi artisti con i quali Mauro Gioia fece gruppo per anni: Fabrizio Romano, Massimiliano Sacchi, Paolo Sasso, Pietro Bentivegna, riconosce alla piccola e perfetta ensemble di allora il merito di aver creato un  modo insuperabile di lavorare  gl’ingredienti preziosi della canzone napoletana, spesso resi insipidi e indigesti da sbadati manipolatori. In una di quelle canzoni si confronta stasera l’artista, ma mentre nel brindisi sul Molo degli emigranti in partenza di Napoli muta il vino veniva gettato via in segno di resa alla bellezza ammaliante della città qui, in Lostland, il brindisi è stato consumato e ha prodotto i suoi frutti e a nessuna Sirena sarà permesso d’interferire in nome della seduzione della nostalgia.

Lo spettacolo dosa sapientemente il canto e la musica, che si avvale di una super-band italoamericana, e si conclude nel bis con un colpo di genio: una canzone degli anni Cinquanta, gli anni del confronto e dell’assimilazione culturale reciproca tra vinti e alleati. Tu vuo’ fa’ l’americano è una canzonetta allegra e orecchiabile, ma in essa si accampa l’illusione del sogno americano da parte di un paese che vuol tornare alla vita e che ‘ritrova la voce’ impossessandosi delle espressioni di comunicazione e di  pensiero dei vincitori: la musica, il jazz, lo swing, le sigarette con il loro marchio d’oltremare, la divertita nonchalance dell’uso di una lingua che va infiltrandosi in tutte le altre del mondo. Questo colpo d’ala dà allo spettacolo la giusta nota di chiusura dove la leggerezza, questo quasi introvabile misto d’intelligenza e d’ironia verso sé stessi prima che verso il mondo e verso la vita, diventa sigla di garanzia di un’intelligente operazione culturale che va oltre lo spettacolo e s’inserisce a pieno diritto nella grande illusione-lezione-sogno che è il teatro, in ogni suo tempo e in ogni sua espressione.





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