My Way, le confessioni del Cavaliere

Su Netflix la prima biografia autorizzata di Berlusconi firmata da Friedman

    di Mario Vittorio D'Aquino

La figura di Silvio Berlusconi nell’immaginario collettivo da decenni divide e infiamma l’opinione della classe dirigente e della società civile italiana e non solo. Le considerazioni sono tra di loro contrastanti: si passa da una profonda ammirazione dei suoi ex o attuali alleati politici per arrivare a un forte sdegno da parte dei suoi avversari. La vita funambolica del politico classe ’36 è stata fulgidamente raccontata dallo stesso Silvio Berlusconi nella prima biografia autorizzata My Way. Berlusconi si racconta a Friedman (2015) scritta appunto dal giornalista americano Alan Friedman, da cui si è ricavato un documentario disponibile su Netflix fino al 7 novembre prossimo. In questa biografia il Berlusca metaforicamente e fisicamente apre, una volta per tutte, le porte della sua villa ad Arcore.

My Way probabilmente segna l’ultimo colpo di coda di un imprenditore innovatore e di successo e di un politico discusso che ha sicuramente fatto della sua vita un palcoscenico. Nemico giurato della sinistra – soprattutto quella più estrema – le sue abitudini fuori dal teatro della politica sono molto note e vengono sviscerate dal Cavaliere (come lo nominò il giornalista Gianni Brera) in una fiduciosa sinergia con Alan Friedman. Questo excursus della vita di Berlusconi è una fotografia anche della cultura italiana e del modo di far politica nel Paese. Le risposte alle domande, alcune “morbide” e altre più dirette e nette, riescono a dare un preciso quadro di ciò che fu l’ex Primo ministro italiano e cosa comportò agli italiani avere un personaggio come lui. Dall’essere stato un cantante sulle navi da crociera, a come ha conquistato la sua prima moglie; dalla fideiussione ricevuta dalla banca Rasini per avviare la sua attività imprenditoriale, nota per essere stata – come suggeriscono alcuni documenti della magistratura – la principale banca usata dalla mafia per il riciclaggio di denaro sporco, all’acquisto del Milan, squadra capace di scrivere la storia del calcio anni ’80, ’90 e inizi ’00; dall’investimento della Fininvest in cui riuscì a scalzare per anni il monopolio RAI all’ascesa in politica con Forza Italia, il tutto contornato con aneddoti svelati per la prima volta davanti alla camera e sullo sfondo della sua immensa villa ad Arcore.

La stessa villa che fu al centro di grossi scandali più di gossip che di politica: come nel caso del mafioso Vittorio Mangano che si recò, fino a metà anni ’70, in villa San Martino, la reggia di Berlusconi, per svolgere la funzione di "garanzia e protezione" a tutela della sicurezza del suo datore di lavoro e dei suoi più stretti familiari, perché Berlusconi “temeva che i suoi parenti fossero oggetto di sequestri di persona”, frequentemente compiuti a quell’epoca da mafiosi e brigatisti. Ma anche l’ultimo grande caso che coinvolse la nipote di Mubarak, Rubi, nella famigerata stanza del bunga bunga in cui si svolgevano serate a luci rosse. Tutto smentito da Silvio Berlusconi che nel documentario apre le porte alla troupe per mostrare – a suo dire – la vera camera da pranzo (svelando anche il retroscena del termine bunga bunga che è tutto un programma): un tavolone lunghissimo in cui il Cavaliere “aveva piacere di invitare i suoi amici”. Le controversie e le procedure penali a suo carico sono state numerose, ben oltre la sessantina. Un attacco feroce ricevuto ai suoi danni. Berlusconi ribadisce convinto che questa linea dura subita sia stata attuata perché la stampa mainstream e la magistratura fossero telecomandate da una cieca ideologia politica.

La sua abilità nella diplomazia lo ha reso sicuramente un valido mediatore nella politica estera: ben noti sono i legami tenuti con Gheddafi, la cui neutralizzazione voluta soprattutto dalla Francia e dagli States fu ammessa come un “errore” dallo stesso Obama; fino alla fortissima stima con Vladimir Putin, anch’egli intervistato nel documentario e che ancora rilascia parole al miele per il Cavaliere. La stessa mediazione che avrebbe permesso all’Italia di costituirsi come uno zoccolo duro e rilevante nella NATO, forte della stima tra Berlusconi e l’allora presidente USA, George W. Bush. Una posizione che probabilmente avrebbe minato la struttura “franco-tedesco centrica” dell’Ue e che quindi andava evitata.

L’accostamento a Donald Trump non appare poi così scontato. Come The Donald Berlusconi ha incarnato uno spirito liberale ammiccando anche alla destra più radicale, resa così vincente e istituzionalizzata in Italia dopo decenni di marginalizzazione. Per 9 anni complessivi ha ricoperto il ruolo di Presidente del Consiglio e in maniera indelebile ha rivoluzionato il modo di fare politica nel senso completo del termine. Possiamo dire che con lui è nato un fenomeno politico, il berlusconismo, al netto delle sue smisurate controversie (non solo giudiziarie). Ai posteri è affidata l’ardua sentenza sui suoi vari ed eventuali effetti collaterali.





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