La regina di scacchi, mossa vincente

Analisi del successo della serie Netflix tratta dal romanzo di Walter Tevis

    di Giordana Moltedo

Fenomeno lo scorso anno, ancora oggi domina le classifiche della visioni su Netflix e, nell’era del commercio on line, ha fatto impennare le vendite di scacchiere e manuali per giocare a scacchi. A macinare questo gran seguito e ad attestarsi il merito di aver rispolverato un gioco molto amato dalla letteratura e dal cinema, pensiamo solo al capolavoro Il Settimo Sigillo  di Ingmar Bergman, è la miniserie La Regina degli Scacchi, tratta dall’omonimo romanzo di Walter Tevis e rilasciata sulla piattaforma del colosso di streaming ad ottobre 2020. 

Se andiamo ad analizzare la linea narrativa della storia, la stessa appare tra le più classiche delle storie. Infatti, la protagonista Beth Harmon è una ragazzina che, rimasta orfana di madre, cresce in un orfanotrofio, rivelando un talento innato per gli scacchi. Di pari passo all’ascesa, lo spettatore scopre man mano le debolezze e i fantasmi che accompagnano la protagonista, a partire dalla dipendenza che sviluppa per un calmante somministrato nell’orfanotrofio a tutte le ragazze e che induce la protagonista a compiere anche un gesto estremo.

E forse è proprio questa fragilità, non nascosta, di Beth che porta a squarciare quel velo che divide la protagonista dallo spettatore, creando un legame di profonda empatia, che permette di tirare fuori questa miniserie dallo schema classico del viaggio dell’eroe che, messo dinanzi al pericolo, deve superare soprattutto con la sua forza fisica le prove che si manifestano durante il viaggio. Beth diventa quindi un’eroina moderna che affronta le prove grazie al suo talento, alla sua intelligenza e alla capacità di rompere gli schemi di un rapporto dominante tra i sessi, in una società misogena e in, particolare modo, in un mondo chiuso come quello dei club di scacchisti. La serie, infatti, risente del periodo storico essendo ambientata tra il 50’ e il 60’, che vede un cambiamento dei costumi, il 68’ alle porte e un mondo in piena “guerra fredda” che si combatte in guanti bianchi anche su una scacchiera nelle gare infinite tra Beth e il campione russo Borgov.

Ma ciò che rende Beth la meno classica tra gli eroi e le eroine, è quel suo continuo sprofondare in una lotta che è soprattutto e solo interiore. E se nel cinema come nelle serie ad essere legge è l’immagine, una scena emblematica che racchiude tutti i conflitti della giovane Beth è quando la vediamo ballare sulle note di Venus dei Shocking Blue, con una sigaretta in bocca e dopo aver ingurgitato l’ennesimo cocktail di alcol e calmanti.

Se la serie è riuscita, tra buone intuizioni di regia e di scrittura, a riscuotere un gran seguito di pubblico, il merito è del cast corale e, in particolare, di Anya Taylor Joy che veste i panni della protagonista. Quello di Taylor Joy è un nome in ascesa che, a venticinque anni, vanta già due nomination ai Golden Globe come miglior attrice per La Regina degli Scacchi e per il film Emma. Il pubblico spera di rivederla al più presto di nuovo nel ruolo di Beth, ma al momento Netflix non ha messo in programma una seconda stagione. Chissà se a far cambiare idea sarà, non solo la nomination ai Golden Globe come miglior miniserie, ma anche il punteggio record che ha ottenuto la serie sul portale IMDB, dove l’ultimo episodio ha ottenuto un gradimento di 9.4. Decifrando i numeri, in soldoni, significa rating più alto realizzato da un prodotto Netflix in termini di consenso da parte del pubblico.





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