Penne contro la crisi

Fino al 30 giugno dibattiti ed eventi per il Letterature Festival Internazionale di Roma

    di Mariangela Ranieri

“Chi non fa versi per il sincero bisogno di aiutare col ritmo l’espressione della sua passione, ma ha intenzioni bottegaie o ambiziose, o pubblicare un libro è per lui come urgere una decorazione o aprire un negozio, non può nemmeno immaginare quale tenace sforzo dell’intelletto, e quale disinteressata grandezza d’animo occorra per resistere ad ogni lenocinio, e mantenersi puri ed onesti di fronte a se stessi: anche quando il verso menzognero è, preso singolarmente, il migliore.”

È questa una parte dell’intervento di Umberto Saba nel 1911 su quello che resta da fare ai poeti: “la poesia onesta”. La XIV edizione di Letterature Festival Internazionale di Roma, ideato e diretto da Maria Ida Gaeta, responsabile della Casa delle Letterature di Roma, con la regia di Fabrizio Arcuri, promosso dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo di Roma - Dipartimento Cultura, con il supporto organizzativo di Zetèma Progetto Cultura, propone quest’anno agli autori di confrontarsi, con un loro testo inedito, sul tema “Cosa resta da fare alla letteratura”.

Il tema incontra un periodo di stallo per la letteratura, rispetto al quale ogni grande Penna contemporanea ha tentato di mobilizzarsi. Si parla di “crisi”, che va dal mercato librario e quindi ciò che di più reale e tangibile non esista, sino al pregiudizio che i più hanno maturato nella poca funzionalità e pragmaticità dei Dipartimenti Umanistici, ovvero qualcosa che non si può estirpare come erbaccia in un campo.

Dal 9 al 30 giugno 2015, il Festival prevede un’ondata di eventi ed incontri, rispetto ai quali è possibile consultare il sito: www.festivaldelleletterature.it . Tra Piazza del Campidoglio e Piazze dell’Orologio, da John Fante, passando per Katja Petrowskaja e Concita De Gregorio, finendo poi con Edmund White e António Emílio Leite Couto, sono solo alcuni dei nomi che sfileranno sull’intellettuale passerella che Roma ha intenzione di edificare. Non è un caso la parola “onestà”, che cade come un macigno, dal Nord e via via verso il Sud, termine ambiguo rispetto all’ambiguità del cronotopo spazio-tempo che muta col cadere delle foglie, “mediocre” riducendolo ad un grado zero, “una simile pacca sulla spalla chi ambirebbe a riceverla?”; viene spogliato del più alto valore semantico in seno alle virtù positive degne di lode e inciampa nella mera normo-tonalità. Saba di certo non poteva alludere ad eventi contemporanei, ma forse è giusto creare questo ponte, non solo per rinvigorire la letteratura ma per attribuirle quella funzione di cui gode da sempre, ovvero di sostegno, sfogo o ermeneutica della realtà.
 
“Ai poeti della generazione presente resta da fare quello che dovrebbero fare i figlioli, i cui genitori furono malamente prodighi di averi e di salute: una vita di riparazione e di penitenza, senza la preoccupazione di essere essi o i posteri a cogliere il frutto dell’attività riparatrice.[…] resta ad essi quello che finora fu solo e raramente e parzialmente compiuto, la poesia onesta.”





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