Fast o finger, comunque food

Cibo di strada tra Napoli e Madrid

    di Maria Regina De Luca

Il cibo, in qualunque salsa lo presentiamo, sia a Corte che a valle, è sempre funzione fondamentale della vita ma, nei millenni, l’evoluzione ha portato l’uomo a non strappare più la carne con i denti come, ahimè, il suo cane continua a fare. Passiamo quindi dal cibo dei palazzi a quelli di strada che ben più rapidamente si è evoluto da forme rudimentali a intelligente espediente per conciliare ritmo di vita e tempi fisiologici della nutrizione. Napoli batte in ciò uno dei suoi record perché vanno moltiplicandosi spazi mobili o fissi nei quali spesso va servito un cibo accuratamente preparato in casa, con maggiori garanzie igieniche e nutrizionali.

Nell’offerta affiora l’etnia, i cibi conosciuti e imitati in tutto il mondo per la loro semplicità di lavorazione e che trovano nelle fritture di paste lievitate, pastelle con la verdura e pizze nelle sue infinite varianti i loro punti di forza, per non parlare di friarielli e di altri imbattibili contorni. Come sostiene Massimiliano Ricciardini, presidente dell’Associazione Street food, il cibo è cultura ed esige una conoscenza tecnica, storica, artigianale e culturale che va tenuta in continua consonanza con i cambiamenti della vita. La Spagna non è da meno in questa sempre più diffusa apertura di spazi dove conciliare esigenze addirittura contrapposte. Mentre la giornata di lavoro esige concentrazione, rapidità decisionale, attenzione ai particolari, dinamismo fisico e mentale, la funzione alimentare pretende dall’organismo una pausa che arresti il dialogo tra mente e azione e lasci i muscoli cerebrali e addominali rilasciarsi in tutta la loro estensione. Perché nel cibarsi, ormai si sa, è lo spirito che sta al primo posto e impone al corpo una sosta per un reciproco appagamento che sia soprattutto estetico, etico, spirituale.

Basta del resto guardare semplicemente l’offerta degli street food di Napoli per capire che, nella maggior parte dei casi, ognuno dei piccoli capolavori dorati esposti ha richiesto i suoi tempi di lavorazione, di lievitazione e di cottura, e gli occhi svolgono il primo dei riti dell’alimentazione, insieme all’olfatto e al pensiero che, in base alla memoria visiva, farà la sua scelta. Il senso del gusto interviene solo dopo, a cose quasi fatte. Lo stesso accade in Spagna, dato comune ai paesi dove il senso estetico è stato allevato e si è esercitato su paesaggi e architetture come su lezioni d’arte e di storia.

Madrid ha una marcia in più, perché dovunque l’avventore si fermi o sosti a prendere una qualsiasi consumazione, dal caffè a una bibita, si vedrà arrivare vassoi colmi di squisitezze che non incideranno sul prezzo. Quanto ai cibi di strada madrileni, che dire delle caracoles (lumache) onnipresenti, della paella nelle sue molte nuance, delle tapas che prendono il nome dalla copertura dei bicchieri con piattini dove l’oste poneva un piccolo cibo dove appoggiare la bevanda, del churro, della frutta che non scompare a fine stagione, perché provvede a farla maturare una delle regioni spagnole dell’ex impero dove non tramontava mai il sole e dov’è sempre estate o primavera? E che dire dei grandi vassoi d’insalata o di varie leccornie sempre pronti ad accompagnare anche la più piccola consumazione come uno strascico regale a un vestito troppo striminzito?

Quel che ci sembra manchi da altre location di cibo di strada è a Madrid e in Spagna costume, ma indagarne le origini è mestiere di antropologi e storici. Noi possiamo solo farcene un’idea. Mentre da noi la bevanda per cibo di strada è la coca-cola, in Spagna può esser lo Cherry o il bianco, giovane e fresco Manzanilla, ma ciò non rallenta il ritmo della giornata lavorativa dei madrileni che non ammette soste, come da noi dove la siesta e la controra sono parole relegate in antologia o in antiche canzoni.





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