Viaggio al termine del labirinto

La metafisica del mostro e la resa dei conti con l'inconscio. (Prima puntata)

    di Gianluca J.L. Giadima

L'idea è affascinante. Qui lo spazio diventa tempo. E' una delle grandi intuizioni di Wagner. La leggendaria pianta intricata dalla sapienza dall'architetto Dedalo, è l'inconscio. Una intersezione di vie così complicata e tortuosa, da rendere difficile l'orientamento e quindi l'uscita, o forse la completa salvezza, finanche quando si ritrovasse il bandolo della matassa. Perché nel labirinto si incontra la metafisica del mostro. Quel figlio illegittimo, mezzo uomo e mezza bestia, che poi è l'uomo stesso, che timoroso del suo frutto lo nasconde nelle pieghe della coscienza. Così il Minotauro diventa la metafora profondamente ambigua della nostra incapacità di accettarci. Di stare al mondo senza sentirci in colpa di qualcosa. E' l' innocenza che ciascuno di noi crede di avere perduto. E scorrendo avanti e indietro nel tempo molti sono gli eroi che si sono cimentati col “labirinto”. Parsifal è l' eroe scelto per liberarci da questa colpa, Tristano e Isotta sono gli amanti che nel labirinto da loro stessi creato, si perdono, Sigfrido accede al labirinto uccidendo un drago, e Dante è l'esploratore di gironi labirintici nei quali ci si arrovella, ma dai quali non si fugge.

Eppure il labirinto è un disegno che non fa paura. Affascina, cattura, attira l'uomo dentro le sue spire, rendendolo dapprima ardimentoso solutore, e poi schiavo della sua ipnosi. Come in quello di Escher, o nei tracciati che ci restano di quello di Cnosso a Creta, o di Lemno in Grecia, di Meride in Egitto, o del labirinto di Porsenna nella nostra cara Italia. Lo schema è sempre uguale. Il malcapitato vi è gettato dentro, o vi ci giunge in modo catartico, ed è qui disposto di fronte al limite della morte, dell'annullamento del sé, della richiesta di perdono sancita dalla devozione al tiranno di turno, o del sacrificio alla bestia. Probabilmente è la più significante antropomorfizzazione del limite, nel quale l'essere umano si perde, per venire dominato dal creatore del tracciato, al fine di alimentare il suo poderoso ego.

Eppure oggi mi si potrebbe contestare, ma figurati caro Giadima sei un sognatore d'altri tempi.. quali labirinti vuoi che esistano ancora, oltre quelli mitologici o filmici? Parliamo di concetti desueti, fantastici, trapassati, forse meta di viaggi prezzolati e piacenti, ma oltre modo fuori dal registro delle possibilità umane! Tuttalpiù destinazione favolesca, e di sicuro malata, di idiosincrasie cognitive e di viaggiatori senza la salvifica terra della realtà.

Ed invece così non è! Noi, cavie da laboratorio, di labirinti umani ne affrontiamo ogni giorno, e in ogni momento. Viaggiamo in percorsi obbligati, che riportano alle certezze spesso vacue dei nostri nidi. Costretti in comportamenti sempre uguali, che per intravedere chiamiamo routine. E così ci incastriamo in viziosi labirinti morali e comportamentali. Nel sesso, nel cibo, nella rabbia. Per lo più viaggi correlati ai sette vizi capitali. Se come Pirandello scandagliassimo l'interiorità, sezionando il cervello in linea orizzontale, indiscutibilmente, osservandolo dall'alto, vederemo un pianta labirintica, delimitata dal confine del cranio, a cui si accede passando per occhi, orecchie e naso. Ancora non lo vedete? Parliamo, per toccare il limite, di un labirinto classico, bruciante, dentro il quale molti hanno perso e perdono la propria vita, sacrificati ad un Minotauro di nome Fedeltà, da un Re temibile di nome Amore. Concetto altissimo di cui pochi conoscono la vera essenza, che nulla ha a che fare con il possesso, e col connesso senso di privazione.

(prima puntata)





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