LIBRI Cinema all'aperto

Il tempo onirico di Carlo

    di Maria Neve Iervolino

«E l’amore guardò il tempo e rise». L’opera di Sergio Califano, Cinema all’aperto, edita da Iuppiter Edizioni si apre con una poesia di Pirandello sull’amore che richiama il senso di tutta la vita del protagonista Carlo: l’inutilità di tempo e luogo per lo svolgimento dell’intreccio e lo srotolarsi dei sentimenti. Pirandello teorico del paradosso e dell’ambiguità, è da sempre amatissimo dai numerosi artisti napoletani, per i quali è facile trasporre i suoi paradossi e le figure più grottesche nel teatro quotidiano di Napoli, anche quando palcoscenico è una minima frazione della realtà partenopea, geograficamente lontana dalla città, come un paesino anonimo sul mare, che poco o nulla richiama alla mente del grande capoluogo se non per la diffusa malinconia degli abitanti.

Il racconto si apre col tema della migrazione verso il nord “Terra Promessa”, attraverso un bagaglio quasi vuoto e un dialetto incomprensibile. Le storie dei migranti torneranno ancora nel corso della narrazione, dal protagonista Carlo, fino al rappresentativo Peppino, partito da Napoli senza neanche una valigia di cartone.

Nell’anonimo borgo di una piccola piazza, che per la mancanza di riferimenti è possibile collocare in qualsiasi paesino del sud del novecento vi è Giacinto, presentato come un personaggio fuori dal tempo e grottesco, accomunato all’innocente bimbo Carlo da un marchio sulla mano. Il tema del cinema all’aperto entra proprio tra queste due figure, tra il formaggio di paese venduto da Giacinto e la divina Ava Gardner. L’azione muta e così la forma del testo di Califano che passa dai brevi pensieri di una bambino all’articolato flusso di pensieri e dialoghi di Carlo trentenne, emigrato in una particolarmente bianca Firenze, come grafico squattrinato e fidanzato indeciso.

Subentra nella storia di quest’uomo uguale agli altri la giovane Caterina, di origine siciliana, per la quale il diletto parlato dai genitori è “una lingua incomprensibile” perché richiama un costume patriarcale e autoritario, rimandato ingenuamente alle fondamenta del profondo sud. Ingenua è anche Caterina, ma anche questa è apparenza.

Proprio come in un film lo scenario d’improvviso cambia, e dalle ombre delle piccole forme dell’amante il paesaggio muta, inquadrando un sole a scacchi. L’onirico, la realtà, il ricordo, la finzione, tutto si mescola fino a tornare al luogo dove tutto ha avuto inizio, il piccolo paesino indefinito del mare e del formaggio di Carlo: «Il tempo moriva e lui restava».





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