Perche' Pasolini amava Napoli

Il poeta corsaro e il suo rapporto con la città. La scelta di Totò e l'amicizia con Eduardo

    di Armando De Sio

“Coi napoletani mi sento in estrema confidenza, perché siamo costretti a capirci a vicenda. Coi napoletani non ho ritegno fisico, perché essi, innocentemente, non ce l’hanno con me”, dichiarò in un’intervista, Pier Paolo Pasolini. Nel 1963 il poeta girò un film-inchiesta sulla sessualità, Comizi d’amore, percorrendo la penisola e chiedendo a diverse persone, appartenenti a vari ceti sociali, che cosa pensassero dell’amore e dei rapporti sessuali. Il risultato fu sorprendente e ne uscì fuori un’inchiesta piena di frasi fatte, proverbi, luoghi comuni; la parte napoletana girata a Napoli nei pressi di Porta Capuana, contiene le risposte più originali e spontanee.

Il regista decise così di girare uno dei suoi film più importanti proprio a Napoli: il Decameron, primo capitolo della Trilogia della vita. Pier Paolo Pasolini, pur rispettando il testo di Boccaccio, riportato senza modifiche, decise di girare la pellicola a Napoli. La città è anch’essa protagonista assieme al suo popolo colto e non. Pasolini girò presso il Monastero di Santa Chiara e nei dintorni. Attraverso questo film Napoli e i napoletani diventano così il simbolo della resistenza a quella trasformazione causata dall’avanzare del capitalismo, che Pasolini riteneva rovinoso per tutti. Egli ebbe modo di confrontarsi anche con le due grandi maschere del Novecento napoletano: Totò e Eduardo. Pasolini aveva telefonato personalmente a casa del Principe de Curtis. Voleva parlare con Totò.  Disse proprio con Totò. Conosceva e adorava tutti il grande attore napoletano, aveva visto tutti i suoi film. Lo aveva studiato nelle tecniche di recitazione, ne aveva compreso le origini proletarie e sottoproletarie. Ma sentiamo Pasolini: “Nel mio film [Uccellacci uccellini] ho scelto Totò per la sua natura, diciamo così, doppia. Da una parte c’è il sottoproletariato napoletano, e dall’altra c’è il puro e semplice clown, il burattino snodato, l’uomo dei lazzi e degli sberleffi. Queste due caratteristiche insieme mi servivano a formare il mio personaggio. Ed è per questo che l’ho usato. Nel mio film, Totò non si presenta come piccolo-borghese, ma come proletario o sottoproletario, cioè come lavoratore. E il suo non accorgersi della storia è il non accorgersi della storia dell’uomo innocente, non del piccolo-borghese che non vuole accorgersene per i suoi miseri interessi personali e sociali.” Tra Eduardo e Pasolini c’era molta stima.

Il poeta vedeva nell’attore-drammaturgo la maschera vivente di Napoli, della sua storia, della sua bellezza perduta, della sua speranza. Entrambi vedevano nel dialetto l’espressione di ricchezza e varietà culturale di un’Italia che stava scomparendo. Pasolini aveva intenzione di fare un film con Eduardo, Porno-Teo-Kolossal, ma purtroppo il 2 novembre del 1975 fu ucciso. Eduardo parlò alla televisione in memoria dell’amico definendolo “angelico”. Eduardo scrisse per l’amico trentadue versi, pubblicati su Paese Sera, sotto la foto della povera croce di legno (“la spalliera di Cristo”), che segnava il luogo di quella tragedia.





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