A proposito di eroi

La lotta contro un male terribile: forza o fortuna?

    di Amedeo Forastiere

Ogni giorno in Italia si diagnosticano più di 1000 nuovi casi di cancro. Si stima, infatti, che nel nostro Paese vi siano nel corso dell’anno circa 373.300 nuove diagnosi di tumore, di cui il 52 per cento fra gli uomini e il 48 per cento fra le donne.

Tumore, Cancro, Carcinoma, Neoplasia. Qual è la differenza? Noi, comuni mortali, lo chiamiamo tutti cancro o tumore. È sempre il male in assoluto, il demone che consuma lentamente il malcapitato, spesso traghettandolo nell’altro mondo. La guarigione negli ultimi anni è aumentata, il 63 per cento delle donne, e il 54 degli uomini. Comunque, è ancora alta la percentuale di quelli che non ce la fanno.

Personalmente credo che si potrebbe fare qualcosa per debellare questo male, in modo da evitare che uomini, donne e bambini rischino di ammalarsi. È una tragedia, non solo per chi è colpito, ma anche per la famiglia che vede il proprio caro spegnersi lentamente, e non può far niente, se non accarezzarlo, asciugargli il sudore, mentendo con un: dai forza che ce la fai, un finto sorriso, o una preghiera di speranza.

Lo so che si fa peccato a pensare male, ma a volte ci si azzecca. Penso alla macchina enorme che si muove per le cure, la chemio in particolare. Impiega tante persone che lavorano. Assorbe cifre spaventose. Se si trovasse una soluzione, se qualche scienziato scoprisse l’antidoto per prevenire il male o distruggerlo subito sul nascere, senza tante cure costose, la macchina dei “miracoli” che fine farebbe? Quante persone si troverebbero senza lavoro, quante case farmaceutiche vedrebbero abbassare il fatturato? Lo ammetto, io sono un peccatore, e penso male!

Allora la cosa più conveniente è quella di curare, così la macchina continua a funzionare, nessuno perde il posto di lavoro, e le case farmaceutiche continuano a fatturare a nove cifre. Poi se qualche ammalato non ce la fa e muore, beh, la colpa è sua, perché non ha avuto la forza e il coraggio, come un eroe, di combattere il mostro, e la famiglia non gli è stata vicina con amore.

Conosco molte persone che hanno vissuto questa tragedia, perché, è un’enorme tragedia. Tanti si sono pezzentiti, spendendo cifre enormi per curare il proprio caro, spinti anche dalle lusinghe di qualche specialista, che reputandosi Dio sulla terra, pensa di poter fare miracoli.

Spesso alla tv si parla di tumori. In tanti programmi c’è qualcuno che racconta la sua storia. La cosa che più mi fa innervosire (meglio dire incazzare) è quando l’ospite in studio racconta la storia del suo percorso da malato, e come ha sconfitto il male. Parla da eroe che non ha mollato mai, sconfiggendo il mostro, grazie anche alla famiglia che ha avuto accanto. In poche parole il male si può sconfiggere solo se l’ammalato è forte, coraggioso e ha una famiglia che lo ama e non lo abbandona mai. Questi eroi non si rendono conto che offendono la memoria di chi non ce l’ha fatta? Offendono la famiglia dell’ammalato, vuol dire che non gli ha dato abbastanza amore?

Pochi giorni fa ho incontrato un vecchio caro amico, distrutto per la perdita della moglie dopo quarant’anni insieme. Il male infame, il mostro, con sua moglie è stato spietato, colpendola due volte. Quando il primo sembrava superato, arriva subito un altro ancora più feroce, dopo sei mesi l'ha portata via per sempre.

Il mio amico mi ha raccontato: Pochi giorni fa guardando un programma in tv che parlava di tumori, c’era ospite una donna, che raccontava la sua esperienza da malata di tumore al seno. Diceva che lei ha combattuto con forza e coraggio, senza mai mollare. Il sostegno e l’amore della famiglia che è le stata sempre accanto sono stati fondamentali, hanno sconfitto il mostro.

Il mio amico mi racconta la sua storia, ma non mi guarda, ha gli occhi abbassati: Secondo te mia moglie è morta perché non ha avuto il coraggio e la forza di combattere come un eroe? Io non le ho dato abbastanza amore, non le sono stato vicino?

Quelle parole mi mettono ko, non so cosa rispondergli, anche perché lo conosco bene. Della sua storia d’amore so tutto. Lui e Maddalena (questo era il nome della moglie) si conobbero al liceo, avevano sedici anni. Fu subito un grande amore, che si coronò con il matrimonio, appena lui trovò un buon lavoro sicuro, che gli permettesse di mettere su famiglia.

Capisco il suo stato d’animo, il senso di colpa dello sconfitto che avrebbe potuto dare di più. Questo è il tormento che lo accompagnerà fino al suo ultimo giorno su questa terra, solo perché l’ospite alla televisione, “l’eroe” di turno, ha raccontato come si può sconfiggere il mostro.

Vorrei dire due cose a questa persona. Primo: noi siamo felici che lei sia guarita; ci mancherebbe. Però non si atteggiasse più a eroe, perché offende la memoria di chi non ce l'ha fatta.

Secondo: distrugge le persone che sono state accanto all’ammalato, condividendo il pathos e la speranza del miracolo.

Sempre a questa persona vorrei dire: Ti sei salvata perché sei stata fortunata, non eroe.

Gli eroi sono altri, quelli che mettono a rischio la propria vita per salvare innocenti. Era il 23 settembre del 1943, quando un giovane vicebrigadiere dei Carabinieri si autoaccusò di un attentato a due soldati tedeschi per salvare ventidue persone innocenti dalla fucilazione, offrendo la sua vita come scambio. Si chiamava Salvo Rosario Antonio D’Acquisto, aveva solo ventitré anni, ma era un vero eroe.

Alla prossima, ragazzi.





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