Cibele e Attis: feste di rinascita

Riti di primavere antiche nella IV puntata della rubrica «La persistenza del mito»

    di Sveva Della Volpe Mirabelli

Nell'antichità romana era il culto di Cibele e del suo paredro, Attis, a scandire il passaggio dalla buia stagione invernale alla sorridente primavera. L'equinozio era il momento di convergenza delle forze creatrici e distruttrici della natura, incarnate dalla Magna Mater Cibele. In onore della dea di origine anatolica e del suo compagno si celebrava l'ingresso in una fase nuova nel segno prima della penitenza e del sacrificio, poi della rinascita e dell'abbandono ludico. Le cerimonie (Tristia, Sanguem, Hilaria, Ludi Megalenses) mettevano in scena, in forme rituali, il mito della Dea Madre, importato dall'Oriente. La storia di Cibele e Attis si produce e riproduce nel tempo in una fitta rete di varianti, il cui nucleo simbolico è sempre un ciclo di morte e rigenerazione dell'uomo come della natura.

Nella lontana Frigia, nei pressi di Pessinunte, si adorava Cibele sotto forma di una Pietra Nera. Una notte Zeus, sognando la dea, fu colto da forte desiderio e schizzò il suo seme sulla roccia. Nacque l'ermafrodito Agdistis. Inviso agli dei per la sua tracotanza, questi venne punito da Dioniso che con un espediente ne provocò la mutilazione dei genitali maschili. Il sangue sgorgato dal suo membro fece fiorire un mandorlo (o, secondo altri, rifiorire il melograno dai cui rami era precipitato). La figlia del dio fluviale Sangario, cogliendone un frutto, ne rimase incinta e diede alla luce Attis, il bello, grande amore di Cibele. Tuttavia le attenzioni e la passione della dea non bastarono all'amante, che finì col tradirla, stando a diverse leggende con una mortale, con la ninfa Sangaride o con la figlia del re Mida. In ogni caso la punizione fu tremenda. Autoinflitta, tormentato dal senso di colpa, si suicidò all'ombra di un pino, mentre dal terreno bagnato dal suo sangue nacquero le viole mammole. Procurata, indotto dalla gelosia di Agdistis (che talvolta si sovrappone fino a coincidere con la figura di Cibele, la quale appare così contemporaneamente come amante e madre di Attis) alla pazzia, si evirò e gettò da una rupe. In seguito, resuscitato o salvato dalla Grande Madre, fu trasformato in un pino o preso dalla dea come cocchiere del suo sacro carro trainato da leoni.

Nel 204 a.c., seguendo l'ordine dei Libri Sibillini, la Pietra Nera fu trasferita da Pessinunte a Roma per stornare la minaccia di Annibale, così fu introdotto tra i romani il culto frigio della Dea Madre ed ebbero origine le sacre feste di primavera. Durante la loro celebrazione, tra marzo e aprile, ogni gesto cerimoniale evocava un episodio del mito per propiziarsi fertilità e abbondanza. Dopo un periodo di digiuno come atto di espiazione, nei giorni della commemorazione della passione e della morte di Attis, i dendrofori, portatori dell'albero, trasportavano un grande pino,ornato di viole, nel tempio di Cibele sul Palatino. Successivamente il compianto funebre culminava con le lamentazioni dei galli, sacerdoti castrati, che, nell'eccitazione della danza sacra, si laceravano le carni in ricordo del sangue versato dal dio. Il cordoglio collettivo terminava con la sepoltura del pino decorato nel sotterraneo del tempio. Dopodiché aveva inizio la veglia notturna.

Il giorno seguente si annunciava la resurrezione della divinità e il dolore veniva dimenticato in cortei di gioia sfrenata. Infine la Grande Madre, statua argentea dal capo di Pietra Nera, veniva portata al fiume Almone per il rito della Lavatio Matris Deum. Terminate le abluzioni, l'effigie, su un carro tirato da buoi e adornato di fiori, era riaccompagnata al tempio Palatino. Era il momento in cui il popolo si abbandonava finalmente all'allegria, a canti e danze. Questa serie di feste aveva il proprio epilogo nei Ludi Megalenses, che si svolgevano dal 4 al 10 aprile, nell'anniversario dell'arrivo della dea in città. I giochi erano secondo Cicerone "per costume e ordine principalmente casti, solenni, e religiosi", probabilmente per il loro carattere esclusivamente scenico. È curioso notare l'analogia del mito e della sua forma rituale con alcune immagini della Pasqua cristiana e come sempre "tutto comincia con un'interruzione", come direbbe Paul Valéry.





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