Domenico Spinosa. 100 anni dopo

Al Museo Pignatelli la mostra dedicata all'artista napoletano nel centenario dalla nascita

    di Vincenzo Maio

In occasione del centenario della nascita dell’artista Domenico Spinosa (Napoli, 1916-2017), il Polo museale della Campania e l’Accademia di Belle Arti di Napoli, in collaborazione con il Museo e Real Bosco di Capodimonte, hanno organizzato la retrospettiva “Domenico Spinosa. 100 anni dopo”, ospitata nel Museo Pignatelli di Napoli, ed aperta al pubblico dal 7 dicembre 2016 al 19 febbraio 2017.

La mostra, a cura di Valentina Lanzilli e Aurora Spinosa (nella foto), è stata patrocinata dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, ed ha raccolto circa 50 opere prodotte dagli anni Cinquanta ai primi del Duemila. È un inedito percorso dedicato ad uno dei maggiori interpreti dell’Informale in Italia, attraverso i siti museali delle città che custodiscono, nelle loro collezioni permanenti, le opere di Spinosa. Il Museo e Real Bosco di Capodimonte, il Museo Novecento a Napoli a Castel Sant’Elmo, la Galleria dell’Accademia di Belle Arti costituiranno un circuito di luoghi d’arte che si collegano al percorso espositivo del Museo Pignatelli e nei quali si terranno anche cicli di incontri, approfondimenti, laboratori e visite guidate.

La mostra è stata accompagnata dal volume “Domenico Spinosa. Una vita per l’arte 1916-2017” edito da Skira (Milano, 2016), a cura di Valentina Lanzilli ed Aurora Spinosa. E proprio Aurora Spinosa, figlia del Maestro, ci ha rilasciato un’intervista su alcuni aspetti della vita del celebre artista.

Qual è il ricordo più bello che ha di suo padre, come artista?

«Il mio ricordo più bello risale agli inizi degli anni Novanta, quando andai in villeggiatura insieme con mio padre a Pisciotta. Nel pomeriggio era nostra abitudine fare delle passeggiate in mezzo agli ulivi, e lui mi disse: "Guarda quegli alberi come sono belli. Non pensare a come sono fatti, ma guarda come il colore delle loro foglie cambia a seconda del vento. Guarda il profilo dell’albero verso il cielo. Guarda i segni". Ed è stato molto importante per me, perché mi ha dato modo di vedere le cose e le immagini, di avere suggestioni da tutto ciò che mi circondava e di guardare con occhi diversi. Era anche un input a come guardare le opere, al di là di quello che rappresentavano, cosa molto importante per me come storica dell’arte».

Qual è l’elemento che più contraddistingue l’arte dello Spinosa?

«La materia e la luce. Sono due elementi inscindibili tra di loro, prendendo spunto da una tradizione napoletana del Seicento, in particolare attraverso il ponte dell’Ottocento di Mancini (ricordo “La dama in rosso” come lui ne parlava). Sono i due elementi imprescindibili della tradizione napoletana. La luce come colore, e la materia che prende vita e forma attraverso il colore, al di là dell’oggetto a cui fa riferimento. L’oggetto è soltanto uno spunto per andare oltre».

In che modo è progredita nel tempo la sua tecnica?

«In Accademia di Belle Arti c’è una mostra dedicata ai disegni, che lui faceva negli anni Cinquanta, quando era docente della Scuola Libera del Nudo. La cultura classica era fondamentale. I disegni sono nudi che si ispirano un po’ alle forme classiche. Però già lì è presente la materia, e soprattutto il disegno diventa segno e materia contemporaneamente. La stessa cosa troviamo nelle opere successive, dove appunto la materia è incisa da segni, trovando un equilibrio».

Quale messaggio e quali valori ha voluto tramandare ai posteri Spinosa?

«Lavorare, fare ricerca, insistere su quello che si fa, e soprattutto avere fede in quello che si fa. Questo è il suo principio fondamentale, che ha cercato di lasciare anche ai suoi allievi. Non arrendersi, laddove c’ è un intoppo, lavorare finché non viene superato. E questo si vede nei suoi quadri, in tutto il percorso dagli anni Cinquanta fino alla sua morte. Ha lavorato sempre anche negli ultimi anni, disegnando, ripetendo, facendo una sorta di riflessione sul suo percorso, senza fermarsi assolutamente dinanzi agli ostacoli. Questa è stata una lezione non solo per l’arte, ma anche per la vita».





Back to Top