Don Vesuvio, cucina e amore

Nel centro storico di Napoli, i piatti dello chef Francesco Pucci Muscariello viziano il palato

    di Livia Iannotta

Nella Napoli stracciata del secondo dopoguerra un prete, Mario Borrelli, pescava dalla strada i guaglioni senza futuro portandoli con sé alla “Casa dello Scugnizzo”. Quell’uomo buono in tonaca era per tutti don Vesuvio. Oggi, in una stradina del centro antico, dove la storia si è accomodata e gli echi del passato bussano a ogni portone, un locale lo omaggia prendendo il suo nome. «Abbiamo deciso di ricordare il cuore grande di un prete che ha fatto tanto per i ragazzi napoletani, in un angolo della città in cui artisti e personaggi illustri vedono a loro dedicate strade, piazze». Francesco Pucci Muscariello è lo chef di Don Vesuvio, ristorante enoteca di vico San Domenico Maggiore 1, aperto sei mesi fa insieme ai fratelli Salvatore e Antonio. Tutta la sua cucina può essere riassunta come un atto d’amore. Amore per la professione, per la terra d'origine e le eccellenze che produce, amore per chi ogni giorno "vizia" i clienti insieme a lui. «Lavoro con dedizione – dice –. Non sono lo chef che indossa la giacca bianca e a fine serata ce l’ha ancora immacolata. Quando esco dalla cucina la mia è sporca perché sono a contatto con gli ingredienti. Per essere soddisfatto devo sporcarmi le mani».

Chef delle notti capresi, Muscariello lascia l’isola azzurra (ma solo quando indossa il grembiule) dopo essersi misurato per ventisette anni ai fornelli dei locali più “in” del by night (O’ Guarracino, tanto per fare un esempio), servendo nomi come Robert Davi, Nicolas Cage, Tina Turner, i reali d’Inghilterra. Torna a Napoli perché «era forte la nostalgia del centro storico», scortato da un’idea di cucina che mescola la tradizione all’innovazione. La filosofia dietro ogni piatto è nobile: restare fedele alle ricette classiche, quelle che hanno reso Napoli capitale del gusto nel mondo, ma convertirle alla modernità vestendole di forme nuove e sofisticate. Dalla cucina di Don Vesuvio escono piatti in cui troneggia il sapore del Golfo come genovesi di mare, zuppe di cozze, calamarate con rana pescatrice, accanto a quelli cardine del ricettario napoletano: puparuoli ‘mbuttunati («che quasi non si fanno più come una volta»), zucchine alla scapece al profumo di menta, cupole di melanzane al ragù. E poi ancora: spaghettoni cacio e pepe, carbonare gourmet e portate in cui mare e terra si amalgamano come pasta e fagioli alla pescatora o linguine cozze e pecorino.

Una nouvelle cousine che esalta i prodotti campani come il baccalà di Somma Vesuviana, il pomodorino del Piennolo, il pescato fresco, l’olio Olivarte. Ingredienti “rispettati”, rimaneggiati il meno possibile, lasciati spesso al naturale per non alternarne gusto e proprietà nutritive, in una tendenza quasi crudista. «Prendiamo lo spaghetto aglio, olio e peperoncino – spiega –. Perché soffriggere l’aglio e il peperoncino che a cottura perdono quasi il 70% delle loro proprietà? Lasciandoli per un po’ a bagnomaria si assapora la bontà della materia. Stesso discorso per il gambero rosso di Mazzara del Vallo: è quasi un delitto cuocerlo». Questo, è chiaro, presuppone che a finire in tavola siano solo materie prime di altissima qualità: «Per preparare pietanze buone è d’obbligo utilizzare ingredienti d’eccellenza, sia locali che internazionali». Una chicca per i palati più fini: chef Muscariello è l’unico nel centro storico a servire da menu il pregiato caviale Beluga, rarità da intenditori.

A metà tra ambiente rustico e bistrot parigino, Don Vesuvio è un luogo in cui si sazia anche la vista. Dalle pareti delle sale interne, popolane in abiti tradizionali si adagiano su scorci partenopei, e sotto gli archi contornati da mattoncini fanno capolino gli stemmi dei sedili di Napoli, gli antichi seggi amministrativi cittadini. Ancora un omaggio alle radici, ancora amore per “casa sua”. Don Vesuvio è una piccola reggia del cibo, ma si propone anche come enoteca. Il posto giusto, insomma, per godersi un aperitivo davanti a un tagliere di salumi, formaggi e un buon calice di Aglianico o Taurasi. E che Francesco Pucci Muscariello sia un estimatore della bevanda di Bacco, lo si capisce scorrendo la carta dei vini, caratterizzata da una ricca selezione di aziende enologiche locali tra cui Nativ, Cantina Antonio Caggiano, Caputalbus di Pompeo Capobianco.

L’amore, dicevamo. È in ogni idea imprenditoriale dello chef. Perfino il vino di sua produzione, “Donna Gelsomina”, è una dedica fatta col cuore. Ricorda il nome della prima grande donna della sua vita, sua madre, in ogni bottiglia.

 

 

                  

 

 

 





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