Quando nella vita non si ha coraggio
Monte di Procida, un uomo e una donna, un matrimonio fallito, un sacrificio non apprezzato
di Amedeo Forastiere
Pochi giorni fa ero al porticciolo di Monte di Procida in cerca di pace. È un posto unico al mondo, un paradiso per chi lo conosce, dove rifugiarsi nei momenti di tempesta, come fa un marinaio, quando il mare litiga con Nettuno e diventa nervoso, agitato, pericoloso. Chi lo vede per la prima volta rimane incantato di fronte alla quantità di bellezza che la natura è riuscita a mettere assieme in un solo posto. Dalla scogliera del porticciolo quasi si tocca Procida (e un bravo nuotatore può arrivarci a furia di bracciate), protetta alle spalle da Ischia, maestosa con il suo Monte Epomeo, pronta a difendere la piccola sorella. Poche miglia più in là Capri, poi tutta la costa sorrentina, al centro ‘a Muntagna, come la chiamava Libero Bovio: il Vesuvio.
Ci mancavo da molto, il piccolo bar per i bagnanti della spiaggia libera un tempo era molto spartano, ora è diventato un bar-ristorante, con tavoli bianchi e ombrelloni azzurri, e si estende per gran parte del pontile. Poca gente seduta che si rilassa, chi con un buon caffè, chi con un abbondante gelato variopinto di colori come la tavolozza di un pittore. Vi confesso che mi sono proprio rilassato. Credo che madre natura abbia il potere di tener fuori le negatività dai posti incantati, mettendo nell’aria un magico divieto d’accesso alle preoccupazioni, problemi, delusioni, inganni che non ci fanno trovar pace.
Trovo un tavolo libero, mi siedo e ordino una caprese alla ragazza che serve ai tavoli, per il secondo perdo tempo nel decidere, la ragazza mi consiglia ‘o cuoppo misto, ovvero frittura di pesce, e Falanghina dei Campi Flegrei, approvo con un sorriso. Credetemi, è veramente un posto incantevole, tutto mare, isole e spiaggia.
Tra i clienti del bar-ristorante seduti in disparte, noto una coppia diversamente giovane. Lei bella donna di classe, vestito aderente, semplice, con disegni geometrici colorati, il tutto avvolge un corpo da far girare gli estimatori di Canova. Capello nero corvino, sciolto, non molto lungo. Sarà sulla cinquantina d’anni, lui di più, oltre i sessanta. Alquanto sportivo, jeans e camicia uguale, cappello pamana modello Borsalino. Parlano a bassa voce, guardandosi negli occhi, lui proteso verso di lei. Voglio capire chi sono; la curiosità non è solo delle donne.
C’è sicuramente qualcosa che non va nella loro vita, per questo hanno scelto il paradiso del porticciolo Monte di Procida, con il divieto d’accesso ai problemi. Cerco con molta nonchalance di sentire di cosa parlano, per non farmi sgamare guardo due vecchi che giocano a carte, uno di loro bara, l’altro lo scopre, si arrabbia e alza la voce, quel poco che riesco a captare della coppia misteriosa mi sfugge.
Il meteo mi viene incontro, si allea, anche lui è curioso, vo’ capì chi sono quell’uomo e quella donna che parlano piano, come due innamorati senza staccarsi gli occhi di dosso. Scende qualche goccia di pioggia, ne approfitto, sposto la sedia sotto l’ombrellone per ripararmi, la porto verso i due che manco si accorgono della pioggerellina. La distanza è poca, forse nemmeno di un metro, non si accorgono di niente, tanto è intima la conversazione, come se ci fossero solo loro, proprio come fanno gli innamorati tra la gente.
Appizzo l’orecchio, e scopro che non sono né fidanzati, né amanti, ma solo vecchi amici. Lui dice che si conoscono da un trentennio, lei non conferma, dice che sono di meno. Per le donne il conto degli anni è sempre diverso da quello degli uomini. Lui le stringe la mano, lei svincola subito, le dà fastidio; secondo me è innamorato, ma forse non glielo ha mai detto. Lei è sposata, un matrimonio strano, dice che anni fa avrebbe dovuto prendere una decisione, ma per i figli ha rinunciato. Precisa: «Sono la mia vita», non si pente di essere rimasta e dare ai suoi due figli il calore di una famiglia.
Lei parla del suo matrimonio non matrimonio (questo è il termine che usa) e lui, l’anziano con look sportivo, la guarda senza interromperla. Una scenetta dolce, d’altri tempi. Sul tavolo, dove c’è un gelato variopinto di colori, non ci sono telefonini, secondo me li hanno spenti per non essere disturbati.
È chiaro che lei ha bisogno di sfogarsi, l’amico la conosce bene, la lascia parlare. I due figli, il suo unico scopo di vita, adesso sono grandi; Uno, se non ho sentito male, pare che abbia vent’anni, l’altro poco meno. Certo i ragazzi diventati grandi hanno capito bene che tra i genitori c’è qualcosa che non va. In poche parole vivono da separati in casa, ma recitando la farsa della coppia perfetta che si ama. Una situazione pesante, lei dice che sono anni che vanno avanti cosi. Lui domanda: «Dormite in stanze diverse?» Lei: «No, ancora nello stesso letto».
Il suo sguardo è disarmante, non sa cosa risponderle, si rende conto che qualsiasi cosa per lei non sarebbe mai quella giusta. Così preferisce andare indietro nel tempo, a quando si sono conosciuti, e qui non riesco a capire come e quando fu, per il rumore di un elicottero della finanza che passa, rasentando le onde. Lei lo guarda con un sorriso tenero, accende in lui la speranza che sicuramente coltiva da quando l’ha conosciuta. Non ho ben capito se lui sia sigle, separato, divorziato o vedovo, non riesco a leggerlo nei suoi occhi, che non stacca un attimo dal volto di lei.
La donna ritorna sul suo matrimonio non matrimonio, l’aria che si respira in casa è diventata pesante, ha coinvolto anche i figli, il più grande, non apprezzando il sacrificio della madre, un giorno le ha detto: «Perché non hai lascito papà?». La domanda del figlio la racconta come una sconfitta, per non aver avuto coraggio, e gli occhi neri le diventano lucidi.
Poi qualche minuto in silenzio, lui poggia la mano sulla sua, senza stringerla, solo per avere un contatto diretto, lei non svincola, anzi lo guarda fisso negli occhi. Sono talmente in sintonia che chiunque passa li prende per innamorati, senza età. Poi lei dice: «Adesso dobbiamo andare». Si alza, lui le sposta la sedia, come si faceva tanto tempo fa, quando le donne si rispettavano. Si avviano verso una vecchia Volkswagen Maggiolino cabrio bianca, passano proprio accanto al mio tavolo, lui la stringe per i fianchi, lei non si scosta, anche se avverte fastidio, poi le dice: «Chi nella vita non tiene coraggio, un sogno può solo perderlo».
Alla prossima ragazzi.