Palazzo Diomede Carafa, uno scrigno di tesori

Excursus sull'edificio che oggi ospita la scuola elementare Settembrini

    di Liberato Russo

In via San Biagio dei Librai, nel cuore di Spaccanapoli, fu costruito nel XV secolo lo storico Palazzo Carafa di Colubrano, meglio conosciuto come Palazzo Diomede Carafa. Fu proprio il duca di Maddaloni ad acquistarlo e restaurarlo nel 1466, come ci ricorda l’epigrafe posta sul portale.

Guerriero aragonese, scrittore e fine umanista, Diomede, figlio di Antonio Carafa detto “Malizia” per la sua abilità nelle trattative politiche, destinò il palazzo alla sua ricca collezione privata, lo scrigno dei tanti tesori e reperti dell’antichità classica che riusciva a recuperare dagli scavi della città, e per i quali si racconta che non badasse a spese. Tra le opere accumulate c’era la celebre testa di cavallo in bronzo (il cui corpo si narra sia stato fuso per le campane del Duomo), posta di fronte all’ingresso su un piedistallo all’interno del cortile: tra le tante ipotesi, miti e leggende legate a riti pagani su cui si è sempre dibattuto circa la provenienza e la realizzazione, da fonti storiche sappiamo che fu un regalo di Lorenzo de Medici e che l’autore potesse essere addirittura Donatello; donata al Museo Nazionale nel 1809, è stata da allora sostituita con una copia in terracotta. Poco chiare anche le notizie sull’autore dell’edificio: al progetto, attribuito a Masuccio Secondo, pare abbia contribuito l’architetto Angelo Aniello Fiore che, famoso a quei tempi, aveva già lavorato per i Carafa ad un sepolcro in San Domenico Maggiore.

Sulla facciata di gusto rinascimentale, ricoperta di bugne rettangolari grigie e gialle, si apre il classico portale quadrato in marmo bianco dove troviamo, su una prima mensola, una corona di alloro e le armi araldiche dei Carafa con la “stadera” simbolo di giustizia, mentre appoggiati su quella superiore, due piccoli busti degli imperatori Claudio e Vespasiano e centralmente una nicchia con all’interno una statua di Ercole; oltre a ciò, sugli angoli della facciata sono scolpiti i volti del duca e di sua moglie. Da notare inoltre il portone, di epoca successiva alla costruzione, che conserva gli originali battenti in legno intagliato con decorazioni e simboli araldici di stile tardogotico.

Alla morte di Diomede nel 1487, la proprietà passò in eredità al figlio Giovan Tommaso e dunque ai suoi discendenti, finché un altro Diomede, l’ultimo del ramo dei Carafa di Maddaloni ad abitarlo, non lasciò eredi e l’edificio fu assegnato dopo il 1713 a don Francesco Carafa di Colubrano, marito della duchessa di Tolve, Faustina Pignatelli. Amanti della cultura, i coniugi si curarono di riportare il palazzo all’antico splendore dopo anni di abbandono, ristrutturandolo e ospitando incontri culturali. Ma a don Francesco piacevano pure le donne, così, a seguito della separazione, solo la duchessa restò ad abitarci con i tre figli fino al 1785, anno della sua morte. E fu un altro Francesco, ministro in Austria per conto di Murat, ultimo dei Colubrano e nipote del don, a donare la testa equina in bronzo al Museo Nazionale dopo la vendita della proprietà alla famiglia d’Andrea.

In seguito ad un nuovo periodo di decadenza, il palazzo fu acquistato nel 1815 dall’avvocato Francesco Santangelo che, in continuità con lo stile e la passione dei Carafa, l’arricchì ulteriormente di opere d’arte: passione che tramandò poi a suo figlio Nicola, ministro sotto Ferdinando II.

Attualmente i locali di Palazzo Diomede Carafa ospitano un condominio e le aule della scuola elementare Luigi Settembrini, mentre i reperti e le opere ancora presenti necessitano di restauro.





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