Pianto antico
Lacrime di gioia, dolore, rassegnazione, rabbia, nostalgia: dall'Egitto a Filumena Marturano
di Amedeo Forastiere
Pochi giorni fa, mentre ero al supermercato a fare la spesa, ho visto un bambino. Poteva avere sui 4-5 anni. Piangeva disperatamente, le lacrime gli bagnavano tutto il visino, la giovane madre lo strattonava dicendo ripetutamente: no no, ho detto no! Ma il piccino continuava a piangere senza fermarsi. Molto probabilmente un capriccio, come spesso fanno i bambini a quell'età. La mia attenzione, comunque, è stata catturata non solo dal bambino capriccioso che voleva un qualcosa che la madre non gli comprava, ma dal pianto in sé, da quelle lacrime che scendevano sul viso come fossero delle fontanine.
Così ho deciso di fare una riflessione sul pianto e le lacrime. Si piange appena nati, e quando non avviene spontaneamente, c’è sempre qualcuno in sala parto che dà uno schiaffetto sul culetto del bambino per provocarglielo e avere la conferma che il neonato respira, sta bene. Esistono vari modi di piangere: c’è il pianto irrefrenabile, quello convulso, quello di abbandono, quello di sollievo, quello implorante, quello plateale, quello forzato, rassegnato, di rabbia, di felicità, di gioia, di compartecipazione, di commozione… Tranquilli, non mi soffermerò su ogni espressione del pianto.
Non ho viaggiato molto per il mondo. Sono stato in pochi paesi, di cui uno in particolare dove ho vissuto per un anno, molto diverso dal nostro, sia come storia che come cultura, costume e religione, ma anche lì ho visto piangere le persone come da noi. Segno che le lacrime non hanno colore, razza, religione: sono le stesse in qualsiasi parte del mondo.
Già nell’antichità, fu dato al pianto un valore simbolico ed essenziale. In Egitto durante i funerali precedevano il feretro, dietro i portatori di fiaccole, donne con capelli sciolti in segno di lutto che cantavano lamenti funebri e innalzavano lodi al morto, accompagnate da strumenti musicali, a volte graffiandosi la faccia e strappandosi ciocche di capelli. Questo accadeva anche nell’antica Roma.
Un’usanza plebea che non ha niente a che vedere con la religione, è ancora in uso in alcuni paesini dell’entroterra della Sicilia e della Calabria. Si tratta di donne a pagamento, rigorosamente vestite in nero che seguono il funerale piangendo disperatamente. Per la medicina medioevale, l’origine delle lacrime era da attribuirsi allo stato umorale del corpo, mentre il pianto era percepito come una purificazione del cervello dagli eccessi umorali.
Il pianto è tra le poche cose che non ha avuto alcun mutamento, potremmo dire "fedele nei secoli". Nelle pitture antiche spesso sono raffigurate donne che piangono, uomini mai. Era vergognoso per un cavaliere, un eroe, un uomo d’onore, piangere, quasi come se appartenesse solo al sesso debole. Poi, in tempi più recenti, ci sono state canzoni di uomini che piangevano per amore, seppure non proprio palesemente. Qualcuno cantava mi fai piangere senza lacrime: è il pianto interiore.
Difficile stabilire oggi chi piange di più, tra donne e uomini. Di solito quando lo si fa per dolore o per commozione, con la mano cerchiamo di soffocare il pianto, come se ci vergognassimo e volessimo nascondere a chi ci sta vicino che in fondo siamo sensibili. Al contrario, quando si piange per divertimento lo facciamo forte, con orgoglio e un pizzico di cattiveria verso chi non si sta divertendo, così associamo alle lacrime di gioia una rumorosa risata. Poi ci sono quei pianti che ci fanno veramente male, quando perdiamo la persona amata, quella che abita nel nostro cuore.
Tanti poeti hanno scritto versi sul pianto o canzoni che parlavano di lacrime. Me ne viene in mente una su quelle degli emigranti: Libero Bovio nel 1925 scrisse una della più belle canzoni napoletane conosciute in tutto il mondo: Lacreme Napulitane. È la storia di un emigrante che oltre alla famiglia lontana, piangeva anche il cielo di Napoli: il suo era il pianto della nostalgia.
Filumena Marturano non aveva mai versato una lacrima in tutta la sua vita, né per dolore, né per fame, né per disperazione. Lo fece quando riuscì a sposare don Mimì, Domenico Soriano, dando un cognome ai suoi tre figli. Quel pianto di commozione, le fece scoprire che si poteva piangere di felicità. In tempi più recenti (si fa per dire, sono passati 54 anni) Bobby Solo cantava: Da una lacrima sul viso ho capito molte cose, dopo tanti tanti mesi ora so cosa sono per te…
Diciamoci la verità ragazzi, piangere è qualcosa di molto intimo, per questo spesso ce ne vergogniamo. Se decidiamo di farlo davanti a qualcuno, dev’essere una persona di cui ci fidiamo. Se poi questo qualcuno ci asciuga anche le lacrime, be’ vuol dire che siamo amati...
Alla prossima ragazzi.