Scatti d'arte
Successo a Corigliano Calabro per il Festival Internazionale di Fotografia, dal 16 al 18 luglio
di Maria Regina De Luca
Nella straordinaria cornice del paesaggio calabro, sormontata dal maestoso Castello Ducale che conferma con la sua posizione il ruolo di fortezza eretta dai Normanni a difesa del paese sottostante, si è svolta dal 16 al 18 luglio 2016 la XIV edizione del Festival Internazionale di Fotografia, a cura dell’Associazione culturale White Caste insieme a Corigliano Calabro per la Fotografia che esprimono il loro programma di promozione, di crescita e di sviluppo del territorio. Lo straordinario evento è reso possibile dalla sapiente cura e dall’amoroso zelo del presidente e fondatore del festival, Gaetano Gianzi, che pone tra gli obiettivi del Festival quello della formazione e della promozione dei giovani fotografi tra i quali, in questa edizione, sono figurata per la prima volta anch’io con una mostra sul Rocio, il pellegrinaggio di fede e passione del quale ho già parlato in una mia precedente nota.
I giovani posti a contatto con i più celebri e importanti fotografi provenienti da tutto il mondo tra i quali citiamo Monika Bulaj, Fausto Giaccone entrambi in mostra quest'anno, Francesco Cito, James Whitlow Delano, Mimmo Jodice, Gianni Berengo Gardin, Gabriele Basilico, Ferdinando Scianna, Luciano Ferrara, Francesco Zizola, per citare qualcuno dei nomi presenti nelle numerose edizioni del festival, sono l’anello di congiunzione generazionale che assume, in eventi come questo, funzione di valutazione e di critica, di assimilazione e di esempio. L’esposizione è stata il frutto delle elaborazioni di pensiero e di sentimenti suscitate dal mondo di oggi nei fotografi, specialmente in quelli già esperti in speculazioni psicologiche e intellettuali. Fa del resto parte della professione del fotoreporter girare il mondo in lunghe, laboriose e spesso pericolose ricerche senza confini per raccogliere testimonianze di tempi, di popoli e di storie spesso dolorose.
Nella sua ricca e varia esposizione, il Festival di Corigliano Calabro ha confermato ancora una volta che la fotografia è arte, inventiva, creativa, emotiva e comunicativa esattamente come la pittura, la scultura e le altre arti figurative, ma che si coniuga con la musica e con la letteratura con arricchimenti reciproci. Nonostante i pochi anni di apprendistato e di esercizio in quest’arte, mi consento di pensare che essa ha forse una marcia in più: la “veridicità” dell’oggetto fotografato che, sia pure distante nel tempo, ci riporta “la verità di quel momento”, quella luce, quell’aria, quel respiro di vento o di foglie, quel dolore o quella pace, quel “quid” inesprimibile che ha tentato il fotografo a cimentarsi con esso e che ci raggiunge “come i raggi differiti di una stella” (Barthes). Nessuna alchimia, in un’arte che pure su di essa è basata, potrà mai smentire che quanto ci sta sotto gli occhi oggi esisteva e viveva e respirava al momento dello scatto ed è quel “momento” che torna come il souvenir che a esso si lega. Le fotografie del Festival hanno respirato l’aria, il colore, il dolore o la gioia dei momenti che le hanno ispirate, e tutto ciò rende, forse, la fotografia, l’arte dove la vita scrive con la luce il suo diario più sincero.